Tra la fine del Cinquecento e il Settecento l'Adorazione dei Magi realizzata da Paolo Veronese per l'altare Cogollo della chiesa di Santa Corona a Vicenza, oltre ad attirare l'interesse di numerosi scrittori d'arte come Borghini, Ridolfi e Boschini, i quali la citarono nelle loro opere con toni entusiastici riconoscendone il valore e la bellezza, suggestionò anche alcuni artisti vicentini. I pittori Alessandro Maganza (Vicenza 1548-1632), Francesco Maffei (Vicenza 1605 circa-Padova 1660) e Giovanni Antonio De Pieri (Vicenza 1671-1751) si confrontarono con il capolavoro di Veronese e ognuno di essi rielaborò l'illustre prototipo secondo il proprio stile personale.

All’interno del circuito del “Marzo Donna” promosso dal Comune di Venezia, presso il Palazzo della Provvederia di Mestre  l’associazione ArteCultura Veneta presenta la mostra “Omaggio alla Donna: Soggetti femminili nella pittura veneta tra Otto e Novecento” a cura di Marco Dolfin e Luca Sperandio.
il filo conduttore dell’esposizione è la molteplicità di rappresentazione del genere femminile nella pittura veneta a cavallo tra la seconda metà del Ottocento e i primi decenni del Novecento. Si potranno dunque ammirare svariate raffigurazioni delle tipiche popolane veneziane, spesso colte nel momento dei loro lavori all’aperto per le rive o i campielli; immagini che divennero così rappresentative della città lagunare che vennero diffusamente stampate nelle cartoline d’inizio Novecento. Nell’entroterra veneto, l’immagine della popolana veneziana lascia spazio a soggetti femminili agresti, giovani contadinelle, altrettanto affascinanti, sospese in un suggestivo clima pastorale-bucolico come vediamo in alcune delle opere esposte di Noè Bordignon (1841 – 1920). La mostra prosegue poi con una serie di dipinti dedicati ad un modello femminile non più popolaresco, ma al contrario borghese; donne che sfoggiando eleganti abiti e preziosi gioielli diventano raffinate interpreti della moda del loro tempo. Tra queste troviamo la bellissima donna con ventaglio di Egisto Lancerotto (1847 – 1916), dipinto inedito dell’autore, e il capolavoro di Pietro Pajetta (1845 – 1911) Il ventaglio bianco.
Una ventina le opere esposte, molte delle quali inedite e dunque esposte al pubblico per la prima volta concesse in prestito da collezioni private e Gallerie d’arte. Tra gli artisti rappresentati Noè Bordignon, Eugenio de Blaas, Luigi Nono, Egisto Lancerotto, Luigi Serena, Alessandro Milesi, Alessandro Zezzos, Pietro Pajetta, Cesare Laurenti, Umberto Zini, Vittorio e Romolo Tessari, Napoleone Girotto ed altri.

verso expo 2015 storia, cultura tecnologie produttive consumi la civiltà del pane CENTRO STUDI LONGOBARDI CAST ALIMENTI la civiltà del pane storia, tecniche e simboli dal Mediterraneo all'Atlantico Convegno internazionale di studio (Brescia, 1-6 dicembre 2014) In copertina: roma, Biblioteca Casanatense ms 4182, panis opus, f. Cxx.

Il Catalogo ragionato delle opere di Ettore Tito (1859-1941) è frutto di un lavoro di ricerca diretto nel corso dell’ultimo quinquennio da Angelo Enrico e Francesco Luigi Maspes. Il progetto, finalizzato a un approfondimento della produzione del pittore di origini campane ma veneto d’adozione, segue il lungo percorso artistico di Tito, attraverso un arco cronologico che dai primi saggi, eseguiti durante il periodo di formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, giunge fino al termine della sua attività, interrotta dalla morte nel 1941. Il catalogo, presentato da Fernando Mazzocca e corredato da apparati tecnici e da una biografia a cura di Silvia Capponi, si avvale della collaborazione di Anna Mazzanti e Paul Nicholls, i cui saggi consentono di approfondire e mettere in relazione la figura di Ettore Tito rispetto al vivace panorama artistico italiano e internazionale dell’epoca.

Interprete fra i più raffinati e colti della tarda Maniera veneziana, Sante Peranda si stabilirà nel 1608 a Mirandola, la piccola ma fiorente capitale dei Pico, su invito del suo principe, Alessandro I. Per un ventennio il pittore presterà la sua opera presso la corte mirandolese, spesso attivo anche per quella estense nella vicina Modena. Tra le pale d'altare che Peranda lascia in territorio emiliano, accanto a quelle già saldamente acquisite dalla storiografia nella città di Mirandola, ci si vuole ora soffermare su alcune rimaste marginali forse anche per la loro collocazione più appartata.

Tesi di laurea triennale a.a. 2017/2018.
L'intento di questo lavoro è di ricercare e approfondire la storia della chiesa di Montelupone e dei beni culturali presenti al suo interno, dalle decorazioni scultoree di Gioacchino Varlè alla copia dell'Annunciazione di Federico Barocci, fino ad arrivare alle porte lignee realizzate da Cristoforo Casari nel 1796.

Il contributo presenta alcuni documenti inediti di area friulana su Rosalba Carriera, su Antonio Dall’Agata, pittore e incisore amico della Carriera, su Felicita Sartori, discepola prediletta della stessa, e su altri personaggi pordenonesi della loro cerchia, con qualche cenno ad alcune loro opere inedite o poco conosciute.
The present paper looks at previously unpublished documents from Friuli concerning Rosalba Carriera, her friend painter and engraver Antonio Dall’Agata, her favourite apprentice Felicita Sartori, and a number of other people based in Pordenone from the same entourage. Some of their unknown or lesser known works are briefly discussed.

 Attraverso una lettura iconologica l'autore propone di individuare in San Norberto di Xanten, arcivescovo di Magdeburgo e fondatore dell'ordine premostratense, il soggetto del dipinto di Francesco Guardi finora denominato genericamente "Santo in adorazione dell'eucarestia". Viene inoltre approfondita la possibile genesi dell'opera nel clima culturale dell'episcopato di Domenico Antonio Thun, anche in relazione al ciclo di tele di tema eucaristico dipinto dai fratelli Guardi per la sacrestia della chiesa pievana di Vigo di Ton. In merito a quest'ultima impresa, si evidenzia come i Guardi abbiano attinto a un modello di Giambattista Tiepolo per la concezione dei due "spicchi" raffiguranti vasi ornamentali. Through an iconological reading, the author proposes to identify the subject depicted in the painting by Francesco Guardi, generically named "Saint in worship of the Eucharist", with Saint Norbert of Xanten, archbishop of Magdeburg and founder of the Premostratensian Order. The article further explores the possible genesis of the work in the cultural climate of the episcopacy of Domenico Antonio Thun and analyses the painting in connection with the series of works on the Eucharist developed by the Guardi brothers for the sacristy of the parish church in Vigo di Ton. Regarding this last undertaking, the essay underlines the fact that the Guardi brothers drew the conception of the two "segments" representing decorative vases from a model by Giambattista Tiepolo. N el dipinto di Francesco Guardi finora denominato Santo in estasi o Santo in adorazione dell'eucarestia la critica ha da tempo riconosciuto uno dei vertici della pittura sacra del Settecento veneziano ( ). Tra le letture più appassionate ed efficaci si segnala quella di Carlo Ludovico Ragghianti, che evidenziò i caratteri espressionistici dell'opera: "quell'angoloso dissesto, così commosso e impetuoso, dei contorni discontinui, quegli impasti grondanti e rappresi, quel lampeggiamento turbato, anche l'ineleganza plebea e quasi polemica" della figura "bruciante di un'estasi macerata, avida e quasi aggressiva" 1 . Si tratta indubbiamente di un'immagine impressionante e per molti aspetti enigmatica, intorno alla quale, nel corso di ottant'anni di dibattito critico, si è addensata una nebbia lattiginosa di reticenze e d'incertezze, che il presente contributo si propone almeno in parte di dissipare. Il soggetto stesso del dipinto è rimasto finora imprecisato, 1 Ragghianti, Epiloghi guardeschi, p. 79, .

Realizzazione editoriale e informatica a cura di BEAR (bear.am@savonanonline.it) È vietata la riproduzione, anche parziale, non autorizzata, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche a uso interno e didattico. L'illecito sarà penalmente perseguibile a norma dell'art. 171 della Legge n. Francesco Mosetti Casaretto ha curato il progetto scientifico e l'organizzazione delle «Giornate», l'allestimento complessivo del presente volume e l'editing di metà dei contributi; Roberta Ciocca ha curato l'editing della restante parte dei contributi. Volume pubblicato con contributo di fondi per la ricerca locale 2012 del Dipartimento di Studi Umanistici dell'Università degli Studi di Torino. «Effetti speciali» e retorica figurativa nelle immagini delle confraternite laiche medievali. Varianti emiliane di Chiara Guerzi «Mirabilia». Gli effetti speciali nelle letterature del Medioevo, a cura di F. Mosetti Casaretto e R. Ciocca, Alessandria 2014, pp. 365-401 13 Meiss 1982, p. 49; riporto l'intera frase che nello specifico era riferita alla nuova for-15 Meiss 1982, pp. 46-52. Nella fattispecie lo studioso prende in esame le raffigurazioni della Trinità, del Cristo maestoso, della Resurrezione, della Madonna come Donna celeste dell'Apocalisse e dell'Incoronazione della Vergine. 16 Male 1940, pp. 365-376. La prima edizione dell'opera risale al 1924 a cura dell'editore A. Colin di Parigi; si veda a riguardo: Baschet 2005, pp. 273-288. Sul miracolo nell'alto medioevo:

Il saggio indaga un particolare aspetto della pittura del Sei e Settecento in Trentino, ossia la diffusione della cultura pittorica veneziana nelle aree sud-occidentali del Principato, nello specifico nella giudicariese valle del Chiese. L'argomento non è nuovo agli studi di Storia dell'arte, che già da tempo hanno pubblicato i dipinti di maggior prestigio (talora a discapito di opere 'minori'), tuttavia poco indagata risulta essere la connessione dei beni con il territorio di appartenenza. Il presente contributo si propone dunque di ricostruire il contesto socio-economico che favorì il fenomeno, per poi contestualizzare i dipinti già noti e pubblicarne alcuni poco o per niente studiati. The essay explores a particular aspect of the painting activity of the 17th and 18th century in Trentino, namely the dissemination of the Venetian painting culture in the Southwestern area of the princedom, more specifically in the Valley of the river Chiese. The topic is not new to scholars working in the field of art history, who have already published some of the most famous paintings (sometimes to the detriment of 'minor' works) relating to that area. Nevertheless, the connection between the artistic works and the local territory has been little investigated. The present contribution aims to reconstruct the socioeconomic context that promoted the phenomenon and contextualizes well-known paintings, while at the same time publishing some of the works that have gained little or no consideration at all.

trivulziana» pubblicazioni della fondazione trivulzio v Aldèbar an storia dell ' arte a cura di sergio marinelli ii 2014 ISBN 978-88-96162-98-9 estratto da 1 Il nome Cosmo potrebbe essere stato scelto da Piazza in relazione all'omonimo eremo esistente a Pagnano d'Asolo, nella Marca Trevigiana, antico luogo di pellegrinaggio la cui chiesa assunse le forme attuali nel 1874. L'aspetto del romitorio anteriore a questo intervento è documentato da un'incisione di Pietro Marchioretto.

La grande ambiente del Ridotto (in origine sala accademica degli Erranti) del Teatro Grande di Brescia rimane tra le più originali e innovative realizzazioni di Antonio Marchetti e dell'architettura del tardo barocco lombardo e veneto. Il complesso apparato decorativo, eseguito tra il 1769 e il 1770,  si deve al figurista veneto Francesco Zugno  (allievo di G.Battista Tiepolo) e all'ornatista Francesco Battaglioli.

L'inventario inedito documenta una delle più importanti collezioni nobiliari di Brescia, quasi totalmente dispersa all'asta nel 1882 dagli eredi Fenaroli. Tra i dipinti elencati si rilevano numerose tele di autori veneti, i quattro capolavori di Moretto e di Moroni ora alla National Gallery di Londra. Si aggiungono alcuni "pitocchi" di Giacomo Ceruti in seguito parte del "ciclo di Padernello".

Giusto cinquant'anni fa, per la precisione il 5 febbraio del 1962, il municipio di Polcenigo, affacciato sulla centrale Piazza Plebiscito, veniva devastato quasi interamente da un furioso incendio. Così descrive i fatti «Il Gazzettino» del giorno seguente in un lungo e concitato articolo, per altro non privo di errori e imprecisioni: Poco dopo le 5 [del mattino], una pattuglia di carabinieri della stazione locale, in normale servizio di perlustrazione, constatava che dense volute di fumo stavano scaturendo dalle finestrelle e dai pertugi dei magazzini sottostanti i locali dell'ufficio anagrafe del vecchio municipio. I due tutori dell'ordine davano immediatamente l'allarme, poiché si erano resi subito conto della gravità del sinistro 1 . Riferito del prontissimo intervento delle autorità locali, così prosegue l'articolista: Le fiamme, trovando facile esca nei pavimenti di legno, nel materiale ivi depositato e negli infissi e i vari mobili disposti nei locali, continuavano a propagarsi con rapidità e furia. L'incendio, racconta ancora il giornale, aveva resistito per ore e ore all'intervento congiunto dei vigili del fuoco di Pordenone e di quelli della vicina base aerea americana di Aviano, che avevano attinto in continuazione acqua dal vicino Gorgazzo per inondare i vari focolai, finendo per essere spento solo una decina di ore più tardi, verso le tre del pomeriggio. Intanto una parte dell'edificio era crollata, ed erano andate perse anche le contigue abitazioni del segretario comunale Desiderio Bonato e del medico condotto Venezian, dalle quali si era però potuto recuperare il contenuto prima che fosse troppo tardi. Per un attimo si era temuto che pure la facciata del municipio dovesse crollare verso la strada, ma alcuni indovinati puntelli evitavano il peggio. I pompieri avevano intanto salvato anche parte del mobilio e della documentazione comunale e tenuto le fiamme lontane almeno dagli uffici del sindaco, cavalier Antonio Rovere, e del predetto segretario Bonato. Secondo l'articolista del «Gazzettino», al termine delle operazioni di spegnimento sono andati completamente distrutti gli uffici dello stato civile e dell'anagrafe, l'ufficio leva e l'ufficio pratiche varie, nonché l'archivio con tutti i documenti conservati e che riguardano la storia e la vita di Polcenigo. Nell'ufficio per i servizi elettorali, che ha subito la stessa sorte, è stato recuperato il materiale perché custodito in mobili metallici. Quello che è stato salvato, peraltro, è stato danneggiato dall'acqua gettata per spegnere l'incendio o dal rovinio dei calcinacci. Contrariamente a quanto affermato, non tutto l'archivio comunale, contenente anche documentazione antica, era però andato irrimediabilmente perso: qualche anno fa, agli inizi del terzo millennio, ne è riaffiorata infatti una piccola ma interessante parte, fortunosamente sopravvissuta all'incendio ma poi colpevolmente dimenticata per oltre quarant'anni in un angolo buio e umido dell'edificio di fronte al municipio, già adibito a biblioteca civica 2 . La causa scatenante del rogo fu trovata in un corto circuito, sviluppatosi quasi certamente nel magazzino sottostante l'ufficio anagrafe, mentre si era inizialmente pensato al surriscaldamento di una stufa presente nell'edificio. A lungo in paese qualcuno sostenne però che si trattava in realtà di un incendio doloso, dovuto a chissà quali persone e motivi, ma non emersero mai, a quanto pare, solide prove a conforto di questa ipotesi delittuosa, che ancor oggi continua comunque a circolare. Secondo una stima effettuata a caldo (si passi l'involontaria ironia...), i danni dell'incendio superavano i cinquanta milioni di lire, cifra per l'epoca davvero ingente. Annotava ancora il giornalista, a chiusura del suo pezzo, che il municipio era stato costruito «250 anni fa» (in realtà molto meno, come vedremo) e «soltanto dal 1922 era diventato sede municipale», mentre prima «era stato adibito soltanto ad abitazione privata». In effetti, il palazzo era passato intorno al 1877 dagli eredi della famiglia Rossi, che ne era stata la prima proprietaria, agli Zaro, ricchissimi possidenti del paese; era stato poi acquistato per 23.500 lire ad un'asta giudiziale nel 1915 dal Comune -in quel momento, sciolta l'amministrazione civica, fungeva da regio commissario Giuseppe Marchesini, segretario comunale e insigne storico di Sacileche era da tempo alla ricerca di uno stabile più ampio e prestigioso per ospitare il municipio, fino ad allora collocato in un angusto edificio situato pochi metri più in là, anch'esso affacciato su Piazza Plebiscito 3 . Sempre secondo l'articolo giornalistico del 1962, il distrutto municipio era composto di «due saloni, di sei stanze e vari vani accessori ed era abbellito da parecchi affreschi, alcuni dei quali di valore artistico» 4 . Ed è proprio di questi affreschi, più che dell'incendio in sé o del municipio e della sua successiva ricostruzione (per altro non troppo felicemente azzeccata), che intendiamo qui occuparci 5 .

Nati come veri e propri souvenirs per turisti, soprattutto stranieri, i piccoli dipinti di Carlo Grubacs adempiono ancora oggi alla loro funzione originaria, suscitando notevole interesse a livello collezionistico europeo. A questo, si è affiancato recentemente quello della critica, che ha ridefinito la sua vicenda biografica col supporto di emergenze documentarie.

I recenti restauri offrono l’occasione per una complessiva rilettura dell’Ultima cena sulla parete meridionale di San Giorgio Ingannapoltron. L’opera rientra in un fortunato filone iconografico che, nel territorio veronese, vanta undici testimonianze di pittura murale tra il xiv e l’inizio del xv secolo. Pur rispondendo a convenzioni figurative codificate da secoli, il soggetto si offre anche a un piano di lettura più ‘profano’, nella resa vivace dei commensali e nella varietà di stoviglie e cibi imbanditi sulla mensa. Intorno al dipinto di San Giorgio è possibile aggregare un corpus di opere riferibili, su base stilistica, alla mano di un pittore attivo tra la Valpolicella e il lago di Garda all’inizio del xv secolo. Un riesame delle fonti d’archivio e delle iscrizioni conservate su alcuni riquadri votivi consente di stabilire legami certi tra l’artista e i lapicidi di Sant’Ambrogio, che gli affidarono tra l’altro la decorazione del piccolo oratorio di San Zeno in Pulia.

The article presents a new photograph of a lost painting, formerly in Berlin and destroyed in 1945, during the Second World War. The photo, found in the Photo Archive of the Getty Research Institute, allows us for the first time to see the painting in colour and to rethink about its chronology, which is usually set by scholars around 1510. The study of the birth and development of the »Sacra Conversazione« in Venice, in fact, shows the central role, played by Carpaccio during the late 1480s. Indeed, along with Giovanni Bellini, Vittore was actively involved in the transition from the vertical to the horizontal size for the iconography of the Madonna with child and saints, which was then very adopted inside Bellini’s workshop.

Primo protagonista del rinnovamento della pittura veneziana: si affianca alla tradizione Quattrocentesche ed introduce le forme del Rinascimento maturo. ✓ Ha una sensibilità enigmatica, frutto di frequentazioni filosofiche ed esoteriche. ✓ Non sappiamo nulla di certo sulla sua vita: probabilmente si è formato presso la bottega di Bellini, anche se le sue opere appaiono già piuttosto complesse.

[p. 292] GUARDI, FRANCESCO. -Nacque a Venezia il 5 ott. 1712, quinto figlio di Domenico e Maria Claudia Pichler. Fu battezzato il giorno stesso con il nome di Francesco Lazzaro nella parrocchia di S. Maria Formosa (Simonson, p. 78). A questa data, infatti, e già da qualche anno, la famiglia del G. si era trasferita in Barbaria delle Tole, nei pressi della chiesa dell'ospedaletto (Montecuccoli degli Erri, p. 62). Qui il G. trascorse la sua giovinezza e probabilmente continuò a vivere accanto alla madre, forse fino alla morte di lei nel 1743, quando ormai il nucleo familiare si era sciolto da tempo. Nulla si sa intorno alla sua vita privata negli anni giovanili e pochissimo purtroppo anche a proposito dei suoi inizi di pittore, della sua formazione, del suo apprendistato.

Il periodo compreso tra la morte di Mastino II (1351) e la fine della signoria scaligera (1387) costituisce un momento cruciale non solo per le sorti politiche, economiche e sociali di Verona, ma anche per le arti e, in particolare, per la pittura. Nel comporsi delle tante, anche se talora frammentate, testimonianze dipinte, la tarda età scaligera restituisce di sé un'immagine affascinante e variegata, che il libro cerca di cogliere nella sua complessità, da un lato individuando le linee di sviluppo della cultura figurativa tra gli anni Cinquanta e Ottanta, dall'altro illuminando i profili artistici e biografici degli artisti attivi in città e i contesti di committenza, a partire, innanzitutto, da quello della corte.