Fino a una decina d’anni fa, i nodi cruciali della storia e dell’archeologia della città di Durazzo, in Albania, restavano ancora in gran parte da chiarire: una storia densa e una ricchissima documentazione archeologica, per una città fondata dai Greci alla fine del VII secolo a.C., che fu fiorente città ellenistica e romana, capitale bizantina, ed ancora città veneziana, ottomana e comunista. Una grande città antica, che l’isolamento del regime comunista albanese ha occultato per decenni.
Le ricerche archeologiche più recenti, dovute principalmente all’instancabile lavoro di Sara Santoro, hanno contributo a far riemergere questo passato, grazie al coinvolgimento di molte e diverse competenze rappresentate da archeologi, geologi, architetti, storici ed archeometristi che, provenienti da Italia, Albania e Slovenia, hanno saputo creare un’occasione di straordinario confronto multiculturale per la valorizzazione del patrimonio di Durrës e per la “riscoperta” della sua storia.
Questo volume, dichiaratamente multidisciplinare, tenta di coglierei caratteri peculiari e millenari della città e di svilupparne diacronicamente i processi di trasformazione culturale (dall’ellenizzazione alla romanizzazione alla cristianizzazione), mediante la collazione delle fonti antiche, dei dati documentari, storici, cartografici, geomorfologici ed archeologici.

L'archeologia della navigazione negli ultimi vent'anni ci ha abituato a vedere con occhio più critico le problematiche legate alla circolazione e al commercio delle ceramiche. La navigazione di piccolo cabotaggio è stata per secoli una delle forme di trasporto più veloce ed economicamente più vantaggiosa anche per la commercializzazione dei prodotti che circolavano in un determinato territorio, dove la viabilità terrestre era generalmente difficoltosa o talvolta inesistente. Anche i prodotti agricoli e i manufatti ceramici, provenienti dalle regioni dell'Italia centro settentrionale come la Toscana, Liguria e lungo le coste della Francia 1 , venivano trasportati attraverso fiumi e corsi d'acqua fino ai porti d'imbarco verso il Mediterraneo. In particolare sono noti i commerci delle ceramiche che le barche di Genova effettuavano dalla riviera di ponente via mare, trasportando grandi quantità di manufatti prodotti dai numerosi maestri ceramisti della riviera e dai paesi dell'entroterra, come evidenziano alcuni atti notarili del XVIII sec. che introducono norme comportamentali per limitare la concorrenza in particolare tra i maestri ceramisti di Albisola. 2 In età romana il commercio appare legato alla diffusione di prodotti e all'uso di contenitori (anfore) la cui provenienza geografica è generalmente ben conosciuta, associati sulle navi a vasellame di piccole e medie dimensioni, che trovava spazio d'imbarco e stivaggio tra gli interstizi del carico di anfore. In periodo medievale e in particolare postmedievale, i navigli impiegati nel commercio con un carico prevalente di vasellame, erano quasi sempre costituiti da imbarcazioni di piccola stazza, come i leudi 3 della Liguria o i cozzi della Sicilia, mentre le navi di stazza più consistente erano destinate alla navigazione in ambito bellico o per rappresentanza politica. Questa relazione intende essere un contributo alla conoscenza della circolazione delle ceramiche ad opera dei marinai imbarcati su differenti tipologie di navigli che solcavano le acque del Mediterraneo, tra il XII e il XVIII sec. I tre relitti qui presentati hanno restituito carichi di prodotti della lavorazione del pesce come le sarde sotto sale rinvenute nel relitto " A " del Mariposa (Alghero), oltre a ceramiche che costituiscono il vasellame ad uso di bordo e di dotazione individuale dei marinai. Nel caso del relitto del XII sec., ad esempio, rinvenuto nei fondali di Capo Galera lungo le coste algheresi, il carico era rappresentato prevalentemente da anfore costolate con vario contenuto, accompagnate da una serie di reperti ceramici che costituiscono un insieme culturalmente omogeneo attribuibile all'equipaggio come dotazione di bordo.

Alcuni anni fa da una trincea di scavo allagata di acqua fangosa sulle rive del fiume Stella è spuntata un’imbarcazione medievale dalle fattezze originali. Cosa si nasconde dietro il relitto di Precenicco? In questo libro il lettore è accompagnato in un viaggio a ritroso nel tempo, attraverso la ormai perduta rete delle vie d’acqua del Friuli medievale. Diversi punti sono ancora oscuri, tuttavia gli ingredienti sono sapidi: parliamo di ordini monastico-cavallereschi, di crociati, di un imperatore come Federico II, di pellegrini e facoltosi mercanti, di spade, imbarcazioni e cantieri navali, il tutto in un dialogo armonico tra fonti storiche e indagini archeologiche

The aim of this paper is to present ten years of underwater archaeology investigations in the Marine Protected Area "Gaiola Underwater Park" in Naples, Southern Italy since its institution in 2002. These results are at the basis of a development plan that is now the starting point for new research aimed to create a model of enhancement for the underwater archaeological heritage in the Mediterranean context. The project is developed by an interdisciplinary group of young researchers so that all the issues correlated with the marine environment can be taken into account.

This paper proposes a summary of the preliminary results of the first underwater excavation and conservation campaign conducted in July 2018 off the coast of ancient Epidaurus on the so called Villa of the dolia. This complex of Roman age extends for about 1600 square meters below sea level and it is characterized by the presence of several rooms mostly connected with the processing of the agriculture products, including a warehouse with twenty dolia still preserved in situ.

LA SCOPERTA Nell'estate 2009, a c. 500 m a nord-est della costa di Acireale, ai confini tra i comuni di Aci Castello e Acireale (Catania), nello spec-chio di mare antistante Capo Mulini (figura 1), Giancarlo Camaggi e Giuseppe Tomasello scoprivano un cumulo di anfore. La segnala-zione alla Soprintendenza fu seguita da una prima ricognizione nel giugno 2010 (Tisseyre 2010) ma, a causa delle condizioni particolari del giacimento del sito-profondità, correnti, lontananza della costa-, una prima vera cam-pagna approfondita fu realizzata solo nel 2016. Si è provveduto a operare su tre direzioni: una prima campagna di rilievi fotografici in due immersioni, al fine di ottenere un rilievo foto-grammetrico completo del sito, una verifica con un robot sottomarino (Remotely Operated Vehicle-ROV) del Nucleo sommozzatori della Guardia Costiera di Messina, comandante Giuseppe Simeone, effettuata fino a 90 m di profondità e su un raggio di 100 m intorno al relitto e infine un'operazione di recupero di reperti già rilevati fuori del cumulo principale, a scopo diagnostico. Le immersioni si sono svolte nei mesi di luglio e fine agosto 2016: si tratta dunque di presentare qui le osservazioni preliminari. Tutte le conclu-sioni sono per lo più parziali e saranno oggetto di complemento d'indagine. [PT] IL TERRITORIO E IL CONTESTO DEL NAUFRAGIO La zona di rinvenimento del relitto s'inserisce in un ben più ampio contesto di ritrovamen-ti archeologici che evidenziano l'importanza storica della città di Catania in età antica e l'intensità dei traffici commerciali marittimi che in ogni epoca hanno caratterizzato questo tratto di costa siciliana. Nella fattispecie lo scalo di Capo Mulini, a sud del relitto, fu oggetto, tra il 1995 e il 2001, di una sistematica ricognizione archeologica effettuata dall'Università degli Studi di Catania, a cura della cattedra di Topografia antica della Facoltà di Lettere, presieduta dal professor Edoardo Tortorici (Tortorici 2002). L'esito di suddette analisi consentì di identifica-re, nei fondali del golfo in oggetto, un'ingente mole di ritrovamenti coerenti, dal punto di vista cronologico e tipologico, con i materiali rinve-nuti nei livelli di occupazione della terraferma, a conferma di quanto già noto dalle fonti a partire dal XVI-XVII secolo in merito al riconoscimento di un insediamento costiero di grande interesse sviluppatosi, senza soluzione di continuità, dall'età preistorica ai nostri giorni. Prossimo a quest'ultimo in direzione sud è l'altro importante scalo di Aci Castello e il piccolo approdo di Punta Aguzza, individuato nel 2012, che ha consentito di portare alla luce un'ingente mole di materiale. Qui, tra il 2012 e il 2016, oltre a 4 anfore di tipo Corinzio A e B ritenute appartenenti a un relitto del VI a.C (Tis-seyre 2010), in aree e a batimetrie eterogenee, sono stati scoperti molti altri reperti di epoche differenti: un dolium frammentario, contenitori da trasporto di epoca romana e bizantina, un numero imprecisato di ancore 'a gravità' litiche e in ferro del tipo 'a presa' e in piombo, nonché varie attrezzature di bordo, testimoni imperituri di una continuata attività antropica all'interno della baia (in fase di pubblicazione). I materiali recuperati in località Punta Aguzza rientrano

L’archeologo del XXI secolo non vive più di solo studio e scavo. Oggi la moderna ricerca impone di affiancare al lavoro in cantiere e ai libri in biblioteca modi sempre nuovi di indagare, comunicare e gestire l’antico. Bastano un po’ di fantasia, versatilità e intraprendenza per dare vita, da archeologo, alle attività più disparate. Come hanno fatto i 34 professionisti che si raccontano in Archeostorie: c’è chi cura un museo e chi gestisce un’area archeologica, chi narra il passato ai bambini e chi lo “fa vedere” ai ciechi, chi usa nel racconto le tecnologie e i linguaggi più diversi e persino i videogame; c’è poi chi ricostruisce l’antico in 3D e chi lo sperimenta dal vivo, chi organizza i dati di scavo e chi li rende disponibili per tutti; c’è chi scrive sui giornali e chi parla di archeologia alla radio o in tivù, chi realizza documentari e chi racconta l’archeologia sui social network; c’è ancora chi punta sul marketing e chi sul crowdfunding, chi fa dell’archeologia un’esperienza per tutti e chi difende le bellezze da furti e scempi. C’è anche chi studia e scava, e nel libro descrive la vita vera di studio e scavo al di là dei miti e dei sogni.
Il risultato è un manuale non convenzionale che offre spunti originali e concreti agli archeologi del futuro in cerca di reali possibilità di occupazione. Una sorta di bottega artigiana dove apprendere i segreti del mestiere, o meglio dei mestieri, che un’archeologia nuova, pragmatica e ancorata nel presente può ispirare.

Questo lavoro nasce dalla consapevolezza di quanto siano stati importanti nella storia di Augusta (SR) alcuni umili siti, come le saline, sia in tempi remoti che recenti e di come essi abbiano ancora risonanza nelle nostre coscienze, nella memoria sbiadita degli anziani e nel rifiuto di tutto ciò che rievoca sofferenza e miseria.
L’intento degli autori di questo volume è pertanto quello di colmare, seppur in minima parte, la lacuna esistente nella conoscenza storica di questi luoghi e degli uomini che vi lavorarono, utilizzando i dati archeologici editi fino al 2006 per le epoche più antiche e un insieme di documenti giuridici e fonti letterarie per la storia più recente.
Viene così restituita l’immagine di aree sì povere e dimenticate, ma occupate e vissute con un’ininterrotta e proficua continuità.

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