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San Gennaro abita a Napoli da tempi immemorabili anche se conosciamo con precisione la data in cui fece ingresso per la prima volta in città. Sembra quasi che la Napoli Cristiana non possa esistere, nel concetto fideistico più esteso, senza la figura di questo Santo. Siamo al cospetto di due entità materiali ed indissolubili, ma anche due concetti affatto astratti che si compenetrano in ogni forma espressiva umana, abbracciando il campo della scultura, dell’architettura, della pittura, della poesia, della letteratura, della musica, del mosaico, del cesello, della ceramica, della gioielleria, della tessitura,... San Gennaro a Napoli, trova spazio in tutte le forme espressive dell’arte e la città con tutti i suoi abitanti è fiera di questo omaggio che non è generosità, ma devozione e ringraziamento. L’uomo manifesta in modo esplicito il proprio stato d’animo, la propria intima benevolenza e soprattutto la devozione in ogni modo, esprimendo inoltre i propri sentimenti umani in maniera non solo magniloquente attraverso l’arte, ma anche nella fraseologia umile e spesso affatto dotta della parola, del gesto, dello sguardo. Questo connubio sentimentale tra l’uomo e il Santo si traduce poi in uno straordinario e forse unico rapporto d’insieme quando Gennaro, trasformatosi in persona, abita e vive non solo nella città, ma in tutto il territorio vesuviano. Si tratta di una lenta metamorfosi che sul modello di un cambio o meglio di un adattamento antropologico, porta l’effige del Santo in ogni luogo della terra dominata dal Vesuvio. Sarebbe un’opera immane, un lavoro improbo censire le iconografie di San Gennaro in questa terra dominata dalle forze immani del vulcano. E non basterebbe un tomo a descrivere ogni ambito dove le due ampolle contenenti il sangue, si manifestano come vera essenza simbologica. Valgano solo ad esempio alcuni luoghi della terra del Vesuvio e servano a dimostrare senza ombra di dubbio, quanto questa figura di uomo e taumaturgo sia così fortemente compenetrata nelle attività del quotidiano, nella vita comune. Mi voglio riferire in questo esempio e solo per fini strettamente documentali, alla sfilata di busti e statue del Santo che ritroviamo ancora oggi lungo il percorso della Regia Strada delle Calabrie dal Ponte della Maddalena a Castellammare e proseguendo fino ad Amalfi. Non vi era e non vi è palazzo o angolo di questo importante percorso viario che non richiami alla sua figura ed inneggi anche alle sue gesta. Sul Ponte della Maddalena e su quella che è la sua schiena dal lato mare, San Gennaro apre la mano e stende il braccio destro verso la cima del Vesuvio opponendosi con questo gesto alle ire del vulcano durante l’eruzione del 1631 e questo è anche il movimento plastico nel quale io vedo il gesto di un grandioso maestro che indirizza le proprie forze, il proprio sguardo e la mente tutta a contrastare la natura ostile di questa terra. In quel punto preciso della città di Napoli, dove il Sebeto viene scavalcato dal Ponte, sul confine occidentale con tutta la terra vesuviana, inizia anche un percorso iconografico e quindi simbolico del Santo che sarà presente in quasi tutte le ville del Miglio d’Oro, in moltissime cappelle e chiese, in tantissime strade, tra la gente e nelle case. Quel gesto forte crea una vera e propria estensione di grazie su tutta quella terra e non teme affronti, forte della fedeltà del suo popolo. Ogni villa, per questo avrà sul culmine del proprio tetto una statua dedicata al Santo, ogni città riprodurrà questa stessa iconografia in materiali diversi tra loro. Nel marmo, nella pietra lavica, nella terracotta saranno forgiate le sembianze del Santo, pronto a difendere tutti, pronto ad offrire ancora una volta il proprio sacrificio. San Gennaro con il volto al Vesuvio, con la sua mano destra benedicente, la mitria episcopale e le due ampolle contenenti il suo sangue, abita da secoli le case ed i palazzi della terra vesuviana e spessissimo lo ritroviamo, in quegli edifici il cui prospetto è rivolto al mare, in un gemellaggio direi sacro e salvifico nel messaggio, assieme alla Madonna.
fortunoso periodo vice-regnate, a Carlo III Borbone e al 1799, la Storia del Reame di Napoli si collega superbamente a quella di tutta l'Europa. Ed è doloroso notare che, oltre il popolo, gli scrittori stessi la ignorano, o la conoscono appena nelle sue linee superficiali e inesatte, così come, affrettatamente e poco scrupolosamente riassunta, vien presentata nei Manualetti per le Scuole, Molte cose bisognerebbe dunque in questi Manualetti correggere, molte altre lumeggiare con più netto ed ampio disegno, per dimostrare quanta importanza Napoli abbia avuta di fronte al mondo, e quali oppressioni abbia subite, e come-bella e gentile e desiderata e sfruttata e calunniata sempre,-non meriti per nulla la mala fama che ancora qualche saccente si compiace di attribuirle. Sono stato quindi, in queste pagine, fedele alla Storia, poiché anche il particolare del tesoro della Regina, intorno al quale s'impernia il racconto, è tratto da documenti di Archivio e ricordato dal Camera nelle sue Elucubrazioni storico-diplomatiche sul regno di Giovanna I. I personaggi, da Ruggero di Agèrola, protagonista d'una novella del Decamerone in cui è chiamato da Jeroli o d'Ajeroli, corruzione dialettale di Agèrola, fino a Frate Ruberto,-già dipinto con si foschi colori dal Petrarca in una delle sue Lettere al cardinale Stefano Colonna,-sono, meno qualcuno, rigorosamente veri. Ed ho poi tentato di ambientarli come alla men peggio ho potuto, nel colore nella vita, nei costumi, nel carattere, nelle abitudini della Napoli del tempo, ricercando, di quel periodo trecentesco quasi ignoto perchè ancora non del tutto profondamente studiato, i particolari che più mi pareva si avvicinassero alla verità. So che di questa mia non inutile fatica nessuno, ora, mi sarà grato, né me ne dolgo. Sarei invece assai lieto se qualcuno, in un lontano domani, fermando l'attenzione sul pensiero che non mi fu dato di svolgere, lo traesse a compimento per conto suo, con sostanza di studii più salda, ed in forma migliore. Ferdinando Russo Napoli, marzo 1919. Digitazione, impaginazione ed immagini: Cuomo Francesco Frate Ruberto era un malvagio tipo. Aveva qualche cosa della lima sorda che non stride ma distrugge, e del maglio che non vi avverte ma accoppa. Gli erravano su le labbra sorrisi indefinibili che avrebbero fatto rabbrividire i morti. Serbava negli occhietti fosforescenti e sempre socchiusi, abissi orridi. La sua lingua era talvolta melata, sempre umile coi grandi, specie se nemici, ma in quel miele si mescolava un tossico sottile che vi consumava fino alla distruzione. Le sue umiltà erano fatte di calcoli sordidi, di progetti tenebrosi, di mete tremende. Una sua frase, insinuata in tempo, possedeva la potenza di incendiare un castello. S'era creata a Napoli, nella sua qualità di magister del giovinetto principe, una reputazione di sant'uomo rigido, implacabile e terribile. A misura che gli anni passavano, la sua influenza diventava più grande; poi giganteggiò. La sua ombra, nera come la sua anima, appariva lunga quanto la sua malvagità. E la sdrucita tonaca, bigia come la pietra, recava il color della pietra di cui era materiato quell'implacabile cuore. Sotto la guida di un tal maestro, Andrea d'Ungheria crebbe fino ai diciotto anni nella idea che la Corte di Napoli fosse composta di gente che lo detestava , e si persuase che la reginella sua moglie , cresciuta e vissuta in un ambiente corrotto, preferisse assai più a lui,-guercio e rozzo nei modi-giovani donzelli e gentiluomini suoi concittadini , figliuoli e nipoti dei più potenti e doviziosi baroni del reame , profumati , eleganti, risplendenti, avidi di piaceri e di lussi , ed aspiranti ognun per suo conto, al pingue bottino del regno, nella qualità di parenti od affini della regina. Essi, e le loro madri, ed i loro padri, ed i loro tutori, ambiziosi ed assetati di dominio, mal tolleravano che Napoli e la Puglia e la Calabria, e Taranto e la Sicilia dovessero appartenere a mani straniere; la diplomazia e la politica individuale d' ognuno, miravano a disporre egoisticamente della suprema potestà reale. Di qui lotte e congiure, e conciliaboli e segreti accordi, ed insinuazioni ed agguati, ed un sordo odio che serpeggiava fra i partiti. Gli ungari, con Fra Ruberto alla testa, inculcavano veleno su veleno nel cuore del giovinetto Andrea, e i parenti di Giovanna non tralasciavano occasione per sempre più allontanarla dal marito. Giovanna, sebben giovanissima ed inesperta, aveva però sete di dominio e voleva esser sola. Le piaceva che Andrea rimanesse a far la parte secondaria di principe consorte; ed in questo si giovava dello aiuto dei suoi partigiani. Ma costoro, d'altro canto, col desiderio di arricchire e di dominare anche ai
IL TESORO DI MONETCRISTO , 2014
L’isola di Montecristo, con i monaci del suo monastero e la loro fede cristiana,la città di Genova ,con il principe Andrea Doria ammiraglio della flotta cristiana,Costantinopoli da poco conquistata dall’islam che ha cambiato nome in Stambul, con il sultano Solimano il Magnifico,il Legislatore, turco ottomano,le coste del nord Africa,con Dragut,gran Rais della flotta barbaresca turco ottomana,con la sua ciurma e fede nell’islam,sono i protagonisti del romanzo. Dragut vuole distruggere Genova per vendicarsi con Andrea Doria che lo fece prigioniero e lo mise schiavo al remo. Coinvolge Solimano il Magnifico in una spedizione navale contro la repubblica di Genova dopo essere andato ad Istanbul a convincerlo. Confida nell’effetto sorpresa: la flotta turco ottomana in gran segreto si riunisce tutta all’isola di Giannutri e veleggia minacciosa verso Genova. Ma l’effetto sorpresa sapientemente costruito da Dragut non riesce perché Andrea Doria aiutato dai monaci di Montecristo lo sventa. Era infatti accaduto che i monaci montecristini tormentati dalla paura di essere assaliti dai turchi avevano chiesto aiuto a Doria per difendere il loro monastero. Doria aiuta i monaci perché capisce che così facendo difende anche la città di Genova.Nasconde ingenti somme di denaro della Casa delle Compere nel monastero dell’isola di Montecristo e addestra gli stessi monaci al combattimento,all’avvistamento e alla segnalazione di galee musulmane. Dopo la sconfitta in mare davanti a Genova,Dragut ,con quello che resta della sua flotta,nel viaggio di ritorno mette a ferro e fuoco il monastero di Montecristo difeso dai monaci. Fa una carneficina ma ne salva uno solo. Il romanzo per l’azione narrata,per i protagonisti, diventa “affresco” del mar Mediterraneo in quanto questo mare bagna tutti i luoghi dove si svolge l’azione narrata. Su questo stesso mare i personaggi vivono ed agiscono in due mondi e in due modi differenti d’intendere la fede in Dio: quella cristiana e quella musulmana
1. Il discorso che vorrei sviluppare può prendere l'avvio dalla frase di Contini che apre la sua Introduzione alle Rime di Dante sin dalla prima edizione del 1939, rivista e ristampata nel 1946, e da allora ripubblicata molte volte: Meglio che di Canzoniere […] è prudente discorrere di Rime di Dante: poiché alla cinquecentesca accezione di «canzoniere» involontariamente s'associa, dopo l'esperienza petrarchesca, l'idea d'un'opera unitaria, dell'avventura organica d'un'anima, e si tende così a riportare al Due-cento l'esigenza d'una cosciente costruzione psicologica almeno tanto quanto stilistica, chiusa nell'armatura d'una storia perspicua, e nella quale lo stile è, appunto, anzitutto quello sforzo perenne d'eliminazione e semplificazione. 1 In questa ottica, l'opera di Sannazaro, alla quale questo convegno è dedicato, che sarà? un "canzoniere", o, più prudentemente, una raccolta
Il tesoro della corona, 2020
"La prossima guerra che ci distruggerà non sarà fatta di armi ma di batteri. Spendiamo una fortuna in deterrenza nucleare, e così poco nella prevenzione contro una pandemia; eppure un virus oggi sconosciuto potrebbe uccidere nei prossimi anni milioni di persone e causare perdite finanziarie in tutto il mondo". (Bill Gates, TED talk 2015) Nell'ultimo articolo ho accennato solo di sfuggita al coronavirus, sperando di non doverne più parlare. Invece siamo ancora in piena emergenza, purtroppo. In tutto il mondo si piangono le vittime dell'epidemia, ovunque ci volgiamo, a qualunque ora, su ogni canale TV e social, l'unico argomento è il virus. Si indagherà sulle sue origini, ma quasi di certo questo virus arriva dalla natura, come se questa volesse dimostrarci di essere più forte di noi, che non siamo onnipotenti, nonostante le nostre armi. La frase iniziale di Bill Gates risale a più di cinque anni fa; anziché tra Stati nemici, Gates predisse che le guerre in futuro si sarebbero combattute contro le epidemie e non ci preoccupiamo abbastanza di come affrontarle. Affermazioni profetiche, che sviliscono ogni discorso su muri, barriere, fili spinati e porti chiusi. Dopo aver pensato per anni a come chiudere confini e imporre dazi, ci ritroviamo con un virus che uccide uomini ed economie attraversando le frontiere. Un'emergenza mai vista, che ci ha colti impreparati. Una nemesi della Natura nei confronti dell'arroganza umana, ma anche nei confronti di isolazionisti e nazionalisti: motti come "prima gli italiani" o "America first", sono crollati come castelli di carte. Chi, in nome del sovranismo, ha fatto di tutto negli anni per indebolire e smantellare le istituzioni europee, ha ora chiesto all'Europa di difendere la solidarietà tra i Paesi membri. Chi fino a ieri chiudeva porti e frontiere agli stranieri in fuga da fame e guerre, si è visto chiudere le frontiere dagli altri, in senso inverso. Prima in Italia si sono incolpati i cinesi di essere gli untori, poi gli italiani sono stati oggetto di derisione di altri europei (spot francesi con la pizza infetta, battute inglesi sul virus pretesto di "siesta" per gli italiani...) dopodiché tutta l'Europa e poi gli Stati Uniti sono diventati focolai fuori controllo. Abbiamo visto che all'improvviso chiunque può essere discriminato, segregato, bloccato alla frontiera. Non è che chiudendo i confini per il virus si sia data ragione ai sovranisti: si sono chiuse proprio le case, separate le persone, non i Paesi. Con una politica europea unitaria forse non sarebbe stato necessario chiudere nessun confine. Questa crisi ha dimostrato, se ce n'era ancora bisogno, che l'isolamento sovranista non funziona, è necessaria la solidarietà internazionale. Sia l'epidemia che la conseguente crisi economica sono problemi globali, che possono essere risolti solo con la cooperazione globale. Non è un caso che i populisti abbiano mantenuto un basso profilo,
L'Arcadia: un percorso innovativo nella classicità., 2020
Il dialetto napoletano trova posto in una delle opere pastorali più affascinanti che il Cinquecento Napoletano ha prodotto. Sannazaro non cela la tendenza al dialetto, ed anzi, pare farne uno dei suoi segni distintivi. Molto presto, però, Summonte riconosce la prominenza del toscano: ne consegue una toscanizzazione massiccia.
L’orazione XLII di San Gregorio di Nazianzio presenta un’interessante analogia con un’istituzione fondamentale dell’Atene della democrazia, quella che chi aveva ricoperto una qualunque carica di governo, allo scadere del mandato, era tenuto a rendere conto del suo operato. Così san Gregorio di Nazianzio rende conto davanti al Concilio di Costantinopoli I del 381 d. C. del suo operato come vescovo di Costantinopoli. Questa orazione ci mostra, inoltre, quanto sia distante il cristianesimo delle origini dall’attuale Chiesa cattolica in cui il vescovo detiene un potere assoluto e non è tenuto a rendere conto a nessuno.
Edizione moderna e commentata della secentesca "Istoria della Compagnia di San Paolo, a cura di Anna Cantaluppi, con prefazione di Marziano Guglielminetti
Rivista Mineralogica Italiana , 1986
THE “VALLERIITE-TIAROCRONIO” OF MT. RAMAZZO (LIGURIA, ITALY). “Monte Ramazzo” is the local name of a hill located north-west of Genoa, marked in modern maps as “Bic dei Croi”, and it is known for the presence of Fe-Cu sulphides used since ancient times for the production of copper and vitriols. The mineralization is located within the ophiolite complex known as the "Zona Sestri-Voltaggio", at the tectonic contact with the adjacent more metamorphosed ophiolite complex named “Gruppo di Voltri”, that develops towards the west. The Voltri Group is an Alpine-type ophiolite association, affected by the Alpine orogeny and the consequent metamorphism, which has completely canceled the stratigraphic relationships and has given rise to important modifications in green schist facies which often make it difficult to recognize the original nature of the rocks; the most important forming lithotypes are more or less serpentinized ultramaphites, serpentinoschists, metagabbros, prasinites, amphibolites, quartzites, schists. The Sestri-Voltaggio zone is a real tectonic-shared rocks assembling, oriented North-South, which represents the geological contact between the Alps and the Apennines; in it, it is possible to observe a normal ophiolite suite, composed of serpentinized lherzolites, gabbros, basalts, cherts, limestones and schales (Pipino 1976). The Monte Ramazzo usefull mineralizations is content in tectonized lizardite serpentinites traversed by veins of pillow basalts. It consist in sporadic lenticular massive Cu-pyrrotite, magnetite, valleriite, pyrite, chalcopyrite, and a few other minerals, often cut from secondary carbonate veins containing the same minerals and their alteration products (Pipino 1977). In modern times the ore deposit was exploited to produce also a purgative salt which made the locality famous. The mineral used was analyzed at the end of the eighteenth century and called "Tiariocronio" (Spadoni 1793), to indicate the sulfur and iron content and the strong magnetism. More recent X-Ray diffractometry and chemical analysis show that it consist of a mixture of magnetite (60%) and valleriite (40%), with probable traces of pyrrotite. The minerals are very tightly connected and it is not possible to complete separate them: the less magnetic part is chemically comparable to the classic vallerrite from Loopekop (South Africa).
Medioevo, 2014
Nel cuore della Val di Merse, in territorio senese, c'è un luogo dove sogno e realtà sembrano appartenere a una stessa dimensione. In un paesaggio silente tipicamente toscano, con vasti campi punteggiati da modeste alture, si porgono all'attenzione due sorprendenti testimonianze di un Medioevo a tutto tondo, che offre così, in un colpo solo, una summa di tutte le sue suggestioni. Da un lato c'è Montesiepi, un poggio dal placido declivio, e lassù emerge la chiesa rotonda consacrata al nobile eremita san Galgano. Essa è il luogo della sua sepoltura, e custodisce all'interno la spada che Galgano in persona avrebbe confitto nella roccia all'atto della fondazione dell'eremo. Nella pianura sottostante, nel mezzo di una distesa di campi, si staglia invece la potente abbazia che i Cistercensi realizzarono proprio in onore di Galgano. Sembra che ci sia tutto l'occorrente per evocare appieno le atmosfere dell'epoca: un territorio lontano dal brusio della città, che può ben rivestire il ruolo della landa selvaggia, tipico scenario in cui si muovono i cavalieri dei racconti epici, laddove campi coltivati e paludi sono punteggiati e circondati da fitti boschi; l'eremo abbarbicato su un colle con la sua piccola chiesa; la grande abbazia che appare d'incanto sul fondovalle; non lontano da qui c'è poi il castello di Chiusdino, tipico centro abitato e fortificato, arroccato su un punto d'altura ben difendibile, e pomo di discordia tra le città di Siena e di Volterra, che si contesero a lungo il dominio dell'area. Unisce in un solo tratto ogni elemento del quadro la figura stessa di san Galgano, nobile cavaliere di Chiusdino, divenuto eremita a Montesiepi, lì sepolto ed elevato agli onori dell'altare. A lui sarebbe stata poi intitolata la grande abbazia cistercense, ben presto legata saldamente alla vigorosa realtà della illustre Siena, apparentemente estranea a un angolo di mondo che ci piace immaginare esclusivamente dominato da monaci e da cavalieri. E proprio il culto di Galgano sarà fatto proprio dalla repubblica senese, tant'è che il santo farà parte del «pantheon» dei protettori della città, e la sua testa è tuttora conservata a Siena, racchiusa in un fastoso reliquiario istoriato, opera dell'orafo Pace di Valentino (1270-78).
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Santuario di Montetosto, 2017
TORRE SAN GIOVANNI DI UGENTO E IL CULTO DI ARTEMIS BENDIS IN MAGNA GRECIA, 2020
Theologica & Historica, Annali della Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna,, 2019
Un "tesoro nascosto" nel muro della chiesa di S. Domenico a Troia, 2018