Thesis Chapters by Livia Bigi
Il presente lavoro mira ad indagare l’etica della fortuna come attitudine caratterizzante quella ... more Il presente lavoro mira ad indagare l’etica della fortuna come attitudine caratterizzante quella che Michael Stewart definisce la «façon d’être tzigane» (il modo d’essere zingaro) .
Studiando l’insieme delle consuetudini rom in una comunità ungherese, Stewart individua la centralità della nozione di fortuna (baxt) in quanto determinante una peculiare condotta rom nelle pratiche economiche: in tale contesto tramite l’appello alla fortuna i rom si rendono capaci di affermare un certo controllo sul mondo esteriore. La tesi del presente lavoro è che la nozione di fortuna determini più in generale un peculiare atteggiamento etico mediante il quale i rom fanno esperienza del mondo. Dove intendiamo con atteggiamento etico la maniera in cui si articola l’uso del sé nel mondo.
Si è inteso quindi non tanto concentrare l’attenzione su un patrimonio di pratiche caratterizzante una specifica comunità rom, quanto piuttosto individuare una forma comune dell’agire nel mondo che orienta la condotta individuale in comunità anche diverse. Per questo motivo la ricerca, realizzata in Transilvania (Romania), si è sviluppata in due diverse comunità, una definibile “tradizionale” e l’altra non “tradizionale”, in quanto maggiormente assimilata al mondo rumeno circostante.
Entrambe le comunità sono estese su due villaggi. Nella prima sono ancora conservati i legami comunitari e il mestiere di antica consuetudine, la seconda si presenta invece più eterogena al suo interno e priva di legami comunitari, anche se vi si pratica ancora il lavoro artigiano, in essa tuttavia alcune famiglie non possono dirsi completamente assimilate al mondo rumeno. L’indagine sul campo ha infatti mostrato che l’etica della fortuna governa la condotta dei singoli in entrambi i contesti, nel secondo in particolare in funzione del grado di assimilazione.
In primo luogo, con lo scopo di definire il ruolo che possiede la baxt nei terreni di studio, si è scelto di indagare la relazione intercorrente tra la nozione di baxt e la concezione di Dio, mediante l’analisi dell’opposizione di fatto rilevabile tra l’etica della fortuna e l’etica del “soggetto consapevole” che caratterizza la dottrina pentecostale, diffusa tra i rom nei contesti indagati. Tale disamina ha permesso di dare emersione al legame tra la baxt e un determinato esercizio etico peculiare a quelle realtà rom oggetto di indagine non integralmente assimilate alla dottrina pentecostale. In questi casi la fortuna si presenta come un dono di Dio che deve essere conservato e reso produttivo sulla realtà tramite l’agire, una concezione antitetica all’etica pentecostale che prescrive di donare a Dio le proprie azioni. Una volta evidenziata in tal modo la peculiarità dell’etica della fortuna si è inteso approfondire la doppia valenza semantica che caratterizza la baxt in quanto sanità e in quanto fortuna: da una parte l’importanza della sua conservazione in quanto istanza legata al corpo e dall’altra la sua capacità di rendere il soggetto produttivo. Come mostrato da Olivera nel suo studio relativo ai rom Gabori della Transilvania, da una parte la baxt, in quanto legata alla salute, è qualcosa che il rom ha nel corpo, una sostanza che lo distingue dal gadjé (non-rom), dall’altra è qualcosa che gli dà la facoltà di fare, di mettere in atto un uso del corpo. Perciò si è indagata anzitutto questa prima relazione tra baxt e salute del corpo in entrambi i contesti. E’ emerso come la conservazione della baxt sia fatta dipendere dall’uso del corpo volto al mantenimento dell’integrità, anche intesa come rispetto di requisiti di purità. Si è visto inoltre come nella comunità non “tradizionale”, dove il rispetto dei requisiti di purità non è più oggetto di sanzione da parte della comunità, in taluni casi la relazione tra fortuna e corpo viene ricondotta alla nozione di malocchio mediante una sovrapposizione semantica, la quale una volta indagata conferma il ruolo centrale della fortuna per la conservazione dell’integrità fisica. L’attenzione posta sull’uso del corpo ha poi permesso di approfondire il legame esistente tra la baxt e il fare: infatti la baxt da una parte in quanto residente nel corpo è potenza d’azione, dall’altra deve essere confermata e incrementata attraverso l’agire.
Anche l’attività produttiva è una manifestazione di tale logica, grazie alla quale entro la sfera economica il rom si rende capace di affermarsi sul mondo gadjé. Essa si manifesta nell’etica del lavoro autonomo presso i rom “tradizionali” ma anche in taluni casi presso i rom non “tradizionali”,in particolare nel rapporto che si instaura con la pratica della negoziazione. Entro tale pratica il rom si distingue dal gadjé per il valore che conferisce all’agire rispetto al seguire una norma nella condotta economica. Per il rom possiede importanza prioritaria il rapporto con la fortuna in quanto occasione di affermazione di sé entro la pratica, per cui la negoziazione non è finalizzata all’ottenimento del bene nelle condizioni migliori ma comporta l’accettazione di ampi margini di rischio. Ciò rappresenta una forma di antitesi rispetto all’etica economica gadjé basata sulla logica costi-benefici, un’antitesi che permette al rom di affermare la façon d’être tzigane.
La façon d’être tzigane si manifesta con particolare evidenza in quelle pratiche, anch’esse di natura economica, che il “mondo gadjé” considera marginali in quanto basate su una forma di richiesta (manghel) senza contropartita.L’attitudine al manghel rientra nella logica del fare veicolata dall’etica della fortuna e appare centrale in entrambe le comunità, in modi diversi. In particolare, la comunità “tradizionale” sistematizza il manghel in un’assidua pratica dell’accattonaggio all’estero, i cui proventi vengono reinvestititi dalle famiglie entro la comunità. Nella comunità non “tradizionale” invece il manghel appare in taluni casi come forma dell’agire incorporata fin da piccoli e determinante in modo decisivo l’uso del sé. In entrambi casi si osserva un’abilità al trasformismo del corpo esercitata con maggiore o minore intenzione e consapevolezza ma comunque finalizzata ad un uso del sé volto ad assecondare la fortuna. Tale forma di uso del sé rappresenta un’attitudine assimilabile all’esercizio della metis in quanto facoltà di orientare le circostanze a proprio favore senza un progetto preliminare ma inserendo abilmente la propria azione nello svolgersi degli eventi. Lo stesso rapporto con il rischio e l’incertezza che caratterizza la sfera economica ne è un esempio:
L’azione della metis si esercita su un terreno franoso, in una situazione incerta e ambigua: due forze antagoniste si affrontano; in ogni istante le cose possono volgere in un senso o nell’altro. Su questo tempo contrastante e instabile dell’agon, la metis conferisce una presa per altre vie irraggiungibile: nel corso della prova l’uomo della metis si mostra, in rapporto ai suoi rivali, sia più concentrato su un presente di cui nulla gli sfugge, sia più teso verso un avvenire di cui conosce in anticipo i diversi aspetti, sia infine più ricco di esperienza. Questo stato di vigile premeditazione, di continua presenza nelle azioni in svolgimento, viene espresso in greco con le immagini dell’agguato, della posta, quando chi sta sul chi vive spia l’avversario per colpirlo al momento opportuno.
Tale capacità di vivere nel presente ma cogliendo le potenzialità che in esso presagiscono il futuro porta i rom ad affermare di avere un controllo sul destino. La baxt, la cui semantica ricomprende anche la nozione di destino, non permette tanto di agire sulle condizioni date, che infatti sono interamente governate dal “mondo gadjé”, ma di agire propriamente entro gli eventi. L’etica della fortuna è ciò che permette al rom di differenziarsi dal gadjé mediante l’agire. Tale differenza non si esprime allora nel contenuto fattuale di due condotte antitetiche ma piuttosto nel diverso modo di affermarsi nel mondo, nell’etica che le origina. Questa etica per il rom non risiede infatti in un’intenzionalità precedente all’atto ma nella forma stessa dell’adattamento dei suoi atti alla realtà.
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Studiando l’insieme delle consuetudini rom in una comunità ungherese, Stewart individua la centralità della nozione di fortuna (baxt) in quanto determinante una peculiare condotta rom nelle pratiche economiche: in tale contesto tramite l’appello alla fortuna i rom si rendono capaci di affermare un certo controllo sul mondo esteriore. La tesi del presente lavoro è che la nozione di fortuna determini più in generale un peculiare atteggiamento etico mediante il quale i rom fanno esperienza del mondo. Dove intendiamo con atteggiamento etico la maniera in cui si articola l’uso del sé nel mondo.
Si è inteso quindi non tanto concentrare l’attenzione su un patrimonio di pratiche caratterizzante una specifica comunità rom, quanto piuttosto individuare una forma comune dell’agire nel mondo che orienta la condotta individuale in comunità anche diverse. Per questo motivo la ricerca, realizzata in Transilvania (Romania), si è sviluppata in due diverse comunità, una definibile “tradizionale” e l’altra non “tradizionale”, in quanto maggiormente assimilata al mondo rumeno circostante.
Entrambe le comunità sono estese su due villaggi. Nella prima sono ancora conservati i legami comunitari e il mestiere di antica consuetudine, la seconda si presenta invece più eterogena al suo interno e priva di legami comunitari, anche se vi si pratica ancora il lavoro artigiano, in essa tuttavia alcune famiglie non possono dirsi completamente assimilate al mondo rumeno. L’indagine sul campo ha infatti mostrato che l’etica della fortuna governa la condotta dei singoli in entrambi i contesti, nel secondo in particolare in funzione del grado di assimilazione.
In primo luogo, con lo scopo di definire il ruolo che possiede la baxt nei terreni di studio, si è scelto di indagare la relazione intercorrente tra la nozione di baxt e la concezione di Dio, mediante l’analisi dell’opposizione di fatto rilevabile tra l’etica della fortuna e l’etica del “soggetto consapevole” che caratterizza la dottrina pentecostale, diffusa tra i rom nei contesti indagati. Tale disamina ha permesso di dare emersione al legame tra la baxt e un determinato esercizio etico peculiare a quelle realtà rom oggetto di indagine non integralmente assimilate alla dottrina pentecostale. In questi casi la fortuna si presenta come un dono di Dio che deve essere conservato e reso produttivo sulla realtà tramite l’agire, una concezione antitetica all’etica pentecostale che prescrive di donare a Dio le proprie azioni. Una volta evidenziata in tal modo la peculiarità dell’etica della fortuna si è inteso approfondire la doppia valenza semantica che caratterizza la baxt in quanto sanità e in quanto fortuna: da una parte l’importanza della sua conservazione in quanto istanza legata al corpo e dall’altra la sua capacità di rendere il soggetto produttivo. Come mostrato da Olivera nel suo studio relativo ai rom Gabori della Transilvania, da una parte la baxt, in quanto legata alla salute, è qualcosa che il rom ha nel corpo, una sostanza che lo distingue dal gadjé (non-rom), dall’altra è qualcosa che gli dà la facoltà di fare, di mettere in atto un uso del corpo. Perciò si è indagata anzitutto questa prima relazione tra baxt e salute del corpo in entrambi i contesti. E’ emerso come la conservazione della baxt sia fatta dipendere dall’uso del corpo volto al mantenimento dell’integrità, anche intesa come rispetto di requisiti di purità. Si è visto inoltre come nella comunità non “tradizionale”, dove il rispetto dei requisiti di purità non è più oggetto di sanzione da parte della comunità, in taluni casi la relazione tra fortuna e corpo viene ricondotta alla nozione di malocchio mediante una sovrapposizione semantica, la quale una volta indagata conferma il ruolo centrale della fortuna per la conservazione dell’integrità fisica. L’attenzione posta sull’uso del corpo ha poi permesso di approfondire il legame esistente tra la baxt e il fare: infatti la baxt da una parte in quanto residente nel corpo è potenza d’azione, dall’altra deve essere confermata e incrementata attraverso l’agire.
Anche l’attività produttiva è una manifestazione di tale logica, grazie alla quale entro la sfera economica il rom si rende capace di affermarsi sul mondo gadjé. Essa si manifesta nell’etica del lavoro autonomo presso i rom “tradizionali” ma anche in taluni casi presso i rom non “tradizionali”,in particolare nel rapporto che si instaura con la pratica della negoziazione. Entro tale pratica il rom si distingue dal gadjé per il valore che conferisce all’agire rispetto al seguire una norma nella condotta economica. Per il rom possiede importanza prioritaria il rapporto con la fortuna in quanto occasione di affermazione di sé entro la pratica, per cui la negoziazione non è finalizzata all’ottenimento del bene nelle condizioni migliori ma comporta l’accettazione di ampi margini di rischio. Ciò rappresenta una forma di antitesi rispetto all’etica economica gadjé basata sulla logica costi-benefici, un’antitesi che permette al rom di affermare la façon d’être tzigane.
La façon d’être tzigane si manifesta con particolare evidenza in quelle pratiche, anch’esse di natura economica, che il “mondo gadjé” considera marginali in quanto basate su una forma di richiesta (manghel) senza contropartita.L’attitudine al manghel rientra nella logica del fare veicolata dall’etica della fortuna e appare centrale in entrambe le comunità, in modi diversi. In particolare, la comunità “tradizionale” sistematizza il manghel in un’assidua pratica dell’accattonaggio all’estero, i cui proventi vengono reinvestititi dalle famiglie entro la comunità. Nella comunità non “tradizionale” invece il manghel appare in taluni casi come forma dell’agire incorporata fin da piccoli e determinante in modo decisivo l’uso del sé. In entrambi casi si osserva un’abilità al trasformismo del corpo esercitata con maggiore o minore intenzione e consapevolezza ma comunque finalizzata ad un uso del sé volto ad assecondare la fortuna. Tale forma di uso del sé rappresenta un’attitudine assimilabile all’esercizio della metis in quanto facoltà di orientare le circostanze a proprio favore senza un progetto preliminare ma inserendo abilmente la propria azione nello svolgersi degli eventi. Lo stesso rapporto con il rischio e l’incertezza che caratterizza la sfera economica ne è un esempio:
L’azione della metis si esercita su un terreno franoso, in una situazione incerta e ambigua: due forze antagoniste si affrontano; in ogni istante le cose possono volgere in un senso o nell’altro. Su questo tempo contrastante e instabile dell’agon, la metis conferisce una presa per altre vie irraggiungibile: nel corso della prova l’uomo della metis si mostra, in rapporto ai suoi rivali, sia più concentrato su un presente di cui nulla gli sfugge, sia più teso verso un avvenire di cui conosce in anticipo i diversi aspetti, sia infine più ricco di esperienza. Questo stato di vigile premeditazione, di continua presenza nelle azioni in svolgimento, viene espresso in greco con le immagini dell’agguato, della posta, quando chi sta sul chi vive spia l’avversario per colpirlo al momento opportuno.
Tale capacità di vivere nel presente ma cogliendo le potenzialità che in esso presagiscono il futuro porta i rom ad affermare di avere un controllo sul destino. La baxt, la cui semantica ricomprende anche la nozione di destino, non permette tanto di agire sulle condizioni date, che infatti sono interamente governate dal “mondo gadjé”, ma di agire propriamente entro gli eventi. L’etica della fortuna è ciò che permette al rom di differenziarsi dal gadjé mediante l’agire. Tale differenza non si esprime allora nel contenuto fattuale di due condotte antitetiche ma piuttosto nel diverso modo di affermarsi nel mondo, nell’etica che le origina. Questa etica per il rom non risiede infatti in un’intenzionalità precedente all’atto ma nella forma stessa dell’adattamento dei suoi atti alla realtà.
Studiando l’insieme delle consuetudini rom in una comunità ungherese, Stewart individua la centralità della nozione di fortuna (baxt) in quanto determinante una peculiare condotta rom nelle pratiche economiche: in tale contesto tramite l’appello alla fortuna i rom si rendono capaci di affermare un certo controllo sul mondo esteriore. La tesi del presente lavoro è che la nozione di fortuna determini più in generale un peculiare atteggiamento etico mediante il quale i rom fanno esperienza del mondo. Dove intendiamo con atteggiamento etico la maniera in cui si articola l’uso del sé nel mondo.
Si è inteso quindi non tanto concentrare l’attenzione su un patrimonio di pratiche caratterizzante una specifica comunità rom, quanto piuttosto individuare una forma comune dell’agire nel mondo che orienta la condotta individuale in comunità anche diverse. Per questo motivo la ricerca, realizzata in Transilvania (Romania), si è sviluppata in due diverse comunità, una definibile “tradizionale” e l’altra non “tradizionale”, in quanto maggiormente assimilata al mondo rumeno circostante.
Entrambe le comunità sono estese su due villaggi. Nella prima sono ancora conservati i legami comunitari e il mestiere di antica consuetudine, la seconda si presenta invece più eterogena al suo interno e priva di legami comunitari, anche se vi si pratica ancora il lavoro artigiano, in essa tuttavia alcune famiglie non possono dirsi completamente assimilate al mondo rumeno. L’indagine sul campo ha infatti mostrato che l’etica della fortuna governa la condotta dei singoli in entrambi i contesti, nel secondo in particolare in funzione del grado di assimilazione.
In primo luogo, con lo scopo di definire il ruolo che possiede la baxt nei terreni di studio, si è scelto di indagare la relazione intercorrente tra la nozione di baxt e la concezione di Dio, mediante l’analisi dell’opposizione di fatto rilevabile tra l’etica della fortuna e l’etica del “soggetto consapevole” che caratterizza la dottrina pentecostale, diffusa tra i rom nei contesti indagati. Tale disamina ha permesso di dare emersione al legame tra la baxt e un determinato esercizio etico peculiare a quelle realtà rom oggetto di indagine non integralmente assimilate alla dottrina pentecostale. In questi casi la fortuna si presenta come un dono di Dio che deve essere conservato e reso produttivo sulla realtà tramite l’agire, una concezione antitetica all’etica pentecostale che prescrive di donare a Dio le proprie azioni. Una volta evidenziata in tal modo la peculiarità dell’etica della fortuna si è inteso approfondire la doppia valenza semantica che caratterizza la baxt in quanto sanità e in quanto fortuna: da una parte l’importanza della sua conservazione in quanto istanza legata al corpo e dall’altra la sua capacità di rendere il soggetto produttivo. Come mostrato da Olivera nel suo studio relativo ai rom Gabori della Transilvania, da una parte la baxt, in quanto legata alla salute, è qualcosa che il rom ha nel corpo, una sostanza che lo distingue dal gadjé (non-rom), dall’altra è qualcosa che gli dà la facoltà di fare, di mettere in atto un uso del corpo. Perciò si è indagata anzitutto questa prima relazione tra baxt e salute del corpo in entrambi i contesti. E’ emerso come la conservazione della baxt sia fatta dipendere dall’uso del corpo volto al mantenimento dell’integrità, anche intesa come rispetto di requisiti di purità. Si è visto inoltre come nella comunità non “tradizionale”, dove il rispetto dei requisiti di purità non è più oggetto di sanzione da parte della comunità, in taluni casi la relazione tra fortuna e corpo viene ricondotta alla nozione di malocchio mediante una sovrapposizione semantica, la quale una volta indagata conferma il ruolo centrale della fortuna per la conservazione dell’integrità fisica. L’attenzione posta sull’uso del corpo ha poi permesso di approfondire il legame esistente tra la baxt e il fare: infatti la baxt da una parte in quanto residente nel corpo è potenza d’azione, dall’altra deve essere confermata e incrementata attraverso l’agire.
Anche l’attività produttiva è una manifestazione di tale logica, grazie alla quale entro la sfera economica il rom si rende capace di affermarsi sul mondo gadjé. Essa si manifesta nell’etica del lavoro autonomo presso i rom “tradizionali” ma anche in taluni casi presso i rom non “tradizionali”,in particolare nel rapporto che si instaura con la pratica della negoziazione. Entro tale pratica il rom si distingue dal gadjé per il valore che conferisce all’agire rispetto al seguire una norma nella condotta economica. Per il rom possiede importanza prioritaria il rapporto con la fortuna in quanto occasione di affermazione di sé entro la pratica, per cui la negoziazione non è finalizzata all’ottenimento del bene nelle condizioni migliori ma comporta l’accettazione di ampi margini di rischio. Ciò rappresenta una forma di antitesi rispetto all’etica economica gadjé basata sulla logica costi-benefici, un’antitesi che permette al rom di affermare la façon d’être tzigane.
La façon d’être tzigane si manifesta con particolare evidenza in quelle pratiche, anch’esse di natura economica, che il “mondo gadjé” considera marginali in quanto basate su una forma di richiesta (manghel) senza contropartita.L’attitudine al manghel rientra nella logica del fare veicolata dall’etica della fortuna e appare centrale in entrambe le comunità, in modi diversi. In particolare, la comunità “tradizionale” sistematizza il manghel in un’assidua pratica dell’accattonaggio all’estero, i cui proventi vengono reinvestititi dalle famiglie entro la comunità. Nella comunità non “tradizionale” invece il manghel appare in taluni casi come forma dell’agire incorporata fin da piccoli e determinante in modo decisivo l’uso del sé. In entrambi casi si osserva un’abilità al trasformismo del corpo esercitata con maggiore o minore intenzione e consapevolezza ma comunque finalizzata ad un uso del sé volto ad assecondare la fortuna. Tale forma di uso del sé rappresenta un’attitudine assimilabile all’esercizio della metis in quanto facoltà di orientare le circostanze a proprio favore senza un progetto preliminare ma inserendo abilmente la propria azione nello svolgersi degli eventi. Lo stesso rapporto con il rischio e l’incertezza che caratterizza la sfera economica ne è un esempio:
L’azione della metis si esercita su un terreno franoso, in una situazione incerta e ambigua: due forze antagoniste si affrontano; in ogni istante le cose possono volgere in un senso o nell’altro. Su questo tempo contrastante e instabile dell’agon, la metis conferisce una presa per altre vie irraggiungibile: nel corso della prova l’uomo della metis si mostra, in rapporto ai suoi rivali, sia più concentrato su un presente di cui nulla gli sfugge, sia più teso verso un avvenire di cui conosce in anticipo i diversi aspetti, sia infine più ricco di esperienza. Questo stato di vigile premeditazione, di continua presenza nelle azioni in svolgimento, viene espresso in greco con le immagini dell’agguato, della posta, quando chi sta sul chi vive spia l’avversario per colpirlo al momento opportuno.
Tale capacità di vivere nel presente ma cogliendo le potenzialità che in esso presagiscono il futuro porta i rom ad affermare di avere un controllo sul destino. La baxt, la cui semantica ricomprende anche la nozione di destino, non permette tanto di agire sulle condizioni date, che infatti sono interamente governate dal “mondo gadjé”, ma di agire propriamente entro gli eventi. L’etica della fortuna è ciò che permette al rom di differenziarsi dal gadjé mediante l’agire. Tale differenza non si esprime allora nel contenuto fattuale di due condotte antitetiche ma piuttosto nel diverso modo di affermarsi nel mondo, nell’etica che le origina. Questa etica per il rom non risiede infatti in un’intenzionalità precedente all’atto ma nella forma stessa dell’adattamento dei suoi atti alla realtà.