Books by carla maria fabiani
Es ist der Gang Gottes in der Welt dass der Staat ist. Es ist die Gewalt der sich als Wille verwi... more Es ist der Gang Gottes in der Welt dass der Staat ist. Es ist die Gewalt der sich als Wille verwirklichenden Vernunft. Hegel È innanzitutto una falsa astrazione considerare una nazione, il cui modo di produzione è fondato sul valore, e per dipiù organizzata capitalisticamente, come un corpo collettivo che lavora unicamente per i bisogni nazionali. Marx L'autonomia relativa dello Stato non è un dato, è una creazione continua.
Es ist der Gang Gottes in der Welt dass der Staat ist. Es ist die Gewalt der sich als Wille verwi... more Es ist der Gang Gottes in der Welt dass der Staat ist. Es ist die Gewalt der sich als Wille verwirklichenden Vernunft. Hegel È innanzitutto una falsa astrazione considerare una nazione, il cui modo di produzione è fondato sul valore, e per dipiù organizzata capitalisticamente, come un corpo collettivo che lavora unicamente per i bisogni nazionali. Marx L'autonomia relativa dello Stato non è un dato, è una creazione continua.
The aim of this paper is to bring to light dynamics that can be traced back to the triple logic o... more The aim of this paper is to bring to light dynamics that can be traced back to the triple logic of recognition (Anerkennung, der Kampf um Anerkennung, Anerkanntsein), within the encyclopaedic text that inaugurates the Philosophy of Spirit, the Anthropology, in which Hegel puts forward his point of view on the notion of soul [Seele], basing it on the philosophical tradition that takes its origin in Greece and goes as far as Schelling. Below will be proposed reading of some passages from Hegel's anthropological treatment, in which emerges Hegel's original rethinking of Seele and its redefinition in terms of Geist.
In Chapter 24 of the first book of Capital, Marx deals with the modern capitalist State, emphasis... more In Chapter 24 of the first book of Capital, Marx deals with the modern capitalist State, emphasising the existence of complex factors which affect it. The theoretical basis of his reflection is to be found in Hegel's Phenomenology. He points out the violent methods that the State use against workers-the eslege proletariat-and the subsusumtpion of the State to capital.
Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane afferente al Dipartimento di studi umanistici dell'Università di Urbino e con il patrocinio della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx fuer dialektisches Denken, 2017
Cento anni dalla Rivoluzione d’ottobre: un convegno di studi
Stefano G. Azzarà e Stefano Visenti... more Cento anni dalla Rivoluzione d’ottobre: un convegno di studi
Stefano G. Azzarà e Stefano Visentin (Università di Urbino)
Anche dalla pubblicistica più indulgente, la Rivoluzione d’ottobre viene per lo più rappresentata oggi come un incidente della storia e cioè come una diabolica deviazione del corso del mondo dalla normale modernizzazione liberale: una sorta di Sonderweg russo di estrema sinistra. Ancor più spesso viene presentata però come una catastrofe politica originaria, ovvero come un’eruzione di fanatismo demagogico tardo-giacobino dalla quale sarebbero scaturite tutte le correnti totalitarie che hanno poi attraversato il Ventesimo secolo. È la celebre tesi di Ernst Nolte, convinto, sulla scorta di Heidegger e Schmitt, che il nazismo e il suo «genocidio di razza» fossero un semplice «contromovimento» reattivo nei confronti del «genocidio di classe» bolscevico. Nonostante i grandi cambiamenti che sul piano materiale come su quello culturale ci separano irreversibilmente dall’epoca e dal clima del dopoguerra – e nonostante cento anni siano ormai passati – quell’evento è però tutt’ora ricordato e studiato in tutto il mondo. E molte tra le maggiori Università, comprese quelle italiane, hanno cercato di affrontarne la memoria e le ripercussioni come esse meritano e cioè su un piano che deve essere anzitutto storiografico e filosofico-politico e non certamente ideologico e propagandistico.
Pur avendo scandalizzato anche quella parte – minoritaria – della storiografia liberale che era rimasta fedele al paradigma democratico e antifascista, le tesi di Nolte non sono, a guardar bene, troppo distanti da quella «teoria del totalitarismo» che dai tempi della Dottrina Truman definisce gli assi interpretativi fondamentali della visione del mondo liberaldemocratica occidentale. Non stupisce perciò che esse continuino ad avere un notevole seguito, tanto più che il modello interpretativo che semplifica la storia universale sulla base della coppia libertà/totalitarismo si presta ad essere traslato e variato con la medesima leggerezza nelle più diverse epoche. Non a caso, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, è proprio quell’idealtipo storiografico prêt-à-porter l’ipotesi di lavoro prevalente che guida oggi le ricerche sull’islamismo radicale (considerato da Daniel Pipes come da numerosi altri autori come la «terza ondata» di una sorta di totalitarismo ideale eterno pervicacemente impegnato a cancellare il Mondo Libero) e persino sul cosiddetto “populismo”.
Tuttavia, la nostra impressione è che questo straordinario consensus che accomuna ormai le più diverse posizioni culturali e politiche – incluse alcune tra le tendenze intellettuali che erano state eredi della tradizione del marxismo novecentesco ma che hanno mutato i loro riferimenti culturali senza dilungarsi troppo nell’elaborazione concettuale di questo spostamento –, ben poco abbia di scientifico ma sia in gran parte determinato e corroborato dalla vittoria di sistema conseguita da una delle due parti in lotta al termine della Guerra Fredda. E pensiamo, in questa prospettiva, che il compito di una storiografia e di una riflessione filosofico-politica rigorose e autonome sia in primo luogo esattamente il contrario ovvero quello di sottoporre ad analisi critica il punto di vista dei vincitori: quell’interpretazione che troppo facilmente tracima nel senso comune fino a diventare verità indiscussa e indiscutibile, quasi ideologia che ridiventa natura.
In realtà, anche a uno sguardo superficiale non è possibile negare che almeno due delle caratteristiche fondamentali del nostro tempo e della democrazia moderna intesa come democrazia progressiva sarebbero letteralmente impensabili senza la rottura che la Rivoluzione russa, in particolare quella d’ottobre, ha rappresentato nella storia contemporanea.
In primo luogo, gli eventi russi – i quali di per sé contribuiscono in maniera esemplare a illuminare i nessi che sussistono tra conflitto politico-sociale, democrazia e guerra – rappresentano l’avvio di quel più ampio e complessivo processo di rivoluzionamento del mondo contemporaneo che è costituito dalla decolonizzazione e i cui effetti non sono ancora conclusi. La messa in discussione dell’ordinamento eurocentrico della Terra inizia certamente già nel XIX secolo, a partire dalle prime sollevazioni in America Latina, in Medio Oriente, in Asia, e soprattutto a partire da quella guerra ispano-americana che ha dato avvio al progetto egemonico globale statunitense. E però è solo con l’impulso della Rivoluzione d’ottobre che – grazie alle intuizioni politiche di Lenin e al tentativo di universalizzare le conseguenze del marxismo costruendo un ponte politico tra Occidente e Oriente, Città e Campagna, Centro e Periferia – la rottura dell’ordine coloniale diventa un fenomeno di portata planetaria e significativo sul piano politico. Un fenomeno che condizionerà gli sviluppi interni agli stessi Stati nazionali euro-occidentali e che darà vita a uno dei presupposti fondamentali della democrazia moderna: l’idea di un diritto internazionale basato sul principio di eguaglianza (gli stessi 14 punti di Wilson sono successivi al 1917).
In secondo luogo – e non è possibile qui più di un accenno –, va ribadito come anche gli storiografi di orientamento liberal-conservatore (ma Hayek e Popper lo avevano fatto notare con sdegno già molti decenni prima...) siano ormai dell’idea che la deterrenza costituita dalla presenza di un competitore politico, economico e ideologico su scala globale abbia svolto un ruolo determinante nello sviluppo dei sistemi di Welfare ai quali la democrazia occidentale e persino lo stesso capitalismo consumeristico devono gran parte del proprio sviluppo. Non è un caso che la fine della Guerra Fredda abbia coinciso con l’inizio dello smantellamento di questi sistemi ovvero con l’espunzione dal mercato capitalistico di ogni elemento di responsabilità sociale e intervento pubblico e con l’apertura di un’epoca politica e economica completamente nuova, tutta all’insegna dell’individualismo proprietario ma anche della crisi permanente.
Le grandi trasformazioni iniziate con il periodo 1989-91 non sono ancora terminate. All’esplosione della globalizzazione (che ha fatto gridare alcuni frettolosi interpreti ad una ormai compiuta «fine della storia») sono in realtà seguiti imponenti sconvolgimenti in tutti i settori della vita sociale, dall’economia alla scienza-tecnologia alle tecniche di governo; trasformazioni che a loro volta hanno innescato nuove contraddizioni e nuovi conflitti interni ai singoli paesi come su scala planetaria. È possibile leggere queste trasformazioni e le tensioni che esse hanno generato senza metterle a confronto con la categoria di rivoluzione? E cosa rimane oggi di quelle ulteriori tracce della Rivoluzione russa che tanto in profondità hanno scavato nella democrazia moderna e nelle sue forme di coscienza, a partire dalla costituzione delle identità politiche che hanno animato la fenomenologia del conflitto per oltre un cinquantennio? Cosa è rimasto, infine, dell’esperienza politica e della riflessione di un uomo, Lenin, il cui nome oggi sconosciuto ai più ha rappresentato uno spartiacque per quasi un secolo?
A queste e ad altre domande abbiamo cercato di dare, se non una risposta, almeno uno spazio di riflessione e una giusta risonanza in un recente convegno. Un momento di confronto che ha ospitato punti di vista anche molto distanti tra loro – pensiamo alla questione del rapporto tra socialismo e principio nazionale oppure al tema dello sviluppo delle forze produttive e della NEP – e del quale riportiamo qui la prima parte degli atti, affiancandola ad altri contributi. Il convegno, promosso dal Dipartimento di studi umanistici e dal Dipartimento di economia, società e politica dell’Università di Urbino, ha avuto il patrocinio dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken, che qui ringraziamo.
Completano questo numero di “Materialismo Storico” – dedicato più in generale a «rivoluzioni e restaurazioni, guerre e grandi crisi storiche» – un saggio di Venanzio Raspa su Meinong e la Prima guerra mondiale, un’intervista sulla crisi capitalistica all’economista dell’Università di Siena Ernesto Screpanti, una lettura decisamente controcorrente dell’ultimo Foucault e la traduzione italiana di un assai dibattuto intervento di Gianni Vattimo e Santiago Zabala sul «comunismo ermeneutico». Di particolare rilievo è infine per noi l’intervista di Gianfranco Rebucini ad Andrè Tosel, probabilmente l’ultima che sia stata rilasciata dal nostro compianto collega, amico, maestro (pubblichiamo su questo numero la prima parte e sul prossimo, previsto per luglio, la seconda).
PER UNA POLITICA DEL CONCRETO STUDI IN ONORE DI ROBERTO FINELLI
a cura di Mariannina Failla e Fra... more PER UNA POLITICA DEL CONCRETO STUDI IN ONORE DI ROBERTO FINELLI
a cura di Mariannina Failla e Francesco ToTo
The aporias of the modern age
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to ... more The aporias of the modern age
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to differ from each other. The concept of Rabble (Pöbel) appears in the Philosophy of Right in 1821, whereas the Anerkennung goes back to the years in Jena and, in particular, to the Phenomenology of Spirit. The purpose of this work is to stress the link between them. Such a link was not dealt with by Hegel, so we intend to bring it out through the analysis of Hegel’s works. Pöbel and Anerkennung problematically intersect throughout their course with aporetic outcomes. Their intersection, if detected, shows historically determined features: the modern age, the modern civil society and the modern political State. [...]
"Sull' Autocoscienza in Hegel" è un volumetto che raccoglie e riadatta in forma di pubblicazione ... more "Sull' Autocoscienza in Hegel" è un volumetto che raccoglie e riadatta in forma di pubblicazione le lezioni su "Hegel's Concept of Self-Consciousness" tenute da Robert B. Pippin in occasione delle Spinoza Lectures del 2010 ad Amsterdam. Un libro dallo stile sintetico e comunicativo, che ruota attorno all'incastro di due dinamiche costitutive dell'essere umano: il processo della coscienza verso se stessa (l'autocoscienza), analizzato però attraverso la vita del desiderio (Begierde). La coscienza giunge a sapere di se stessa, giunge all'autocoscienza, perché impara dal suo essere desiderante. Cominciamo imparando dalle forme basilari del desiderio animale, dal voler restare in vita; e di qui continuiamo fino alla lotta sociale che si accende per il desiderio di essere riconosciuti dagli altri. É per questa via che si forma quell'implicita consapevolezza che ciascuno di noi si porta appresso, quell'essere in costante relazione con noi stessi. Sappiamo sempre di essere autocoscienti, ma mai per un'introspezione e nemmeno per una classificazione concettuale. L'autocoscienza non è un oggetto nel mondo, nemmeno un oggetto mentale, quanto il perseguimento di un rapportarci al mondo e agli altri. Un rapporto che matura poiché viene posto ma che, così come viene posto, può anche essere drammaticamente tolto. Questa la lezione che Pippin trae dalla rilettura dei primi capitoli della "Fenomenologia dello spirito".
Carla Maria Fabiani, The aporias of the modern age. Rabble and Recognition in the Hegel’s Philoso... more Carla Maria Fabiani, The aporias of the modern age. Rabble and Recognition in the Hegel’s Philosophy of Right, PensaMultimedia, Lecce 2011
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to differ from each other. The concept of Rabble (Pöbel) appears in the Philosophy of Right in 1821, whereas the Anerkennung goes back to the years in Jena and, in particular, to the Phenomenology of Spirit. The purpose of this work is to stress the link between them. Such a link was not dealt with by Hegel, so we intend to bring it out through the analysis of Hegel’s works. Pöbel and Anerkennung problematically intersect throughout their course with aporetic outcomes. Their intersection, if detected, shows historically determined features: the modern age, the modern civil society and the modern political State. The theoretical field within which we intend to proceed, and within which Hegel’s works proceed, is predominantly philosophical-political, embedded in the terrain of the modern age. This is an age in which the logic and dynamics of recognition are Anerkanntsein, i.e. actualised recognition, and nevertheless, on that same terrain, a form of subjectivity is reproduced that exceeds such dynamics ex ante and does not fight to be recognised. The world of political economy with its own laws, i.e. the system of needs, appears as an inorganic “second nature” in terms of spirit, and the Rabble as devoid of spirit. Therefore, the principle of recognition shows a margin of incompleteness on the level of the objective spirit, which does not weaken its inner logic – the being-recognized -, but downgrades it to must-be, i.e. to a prescription, rather than an established fact. The modern age does not always achieve what it proclaims as its universal principle. In this sense, recognition – which occurs in at least three different meanings in Hegel’s works – is a concrete universal: it is not a formalism of reason, an a priori condition of action and social life; it is what actually takes place. It is the achievement of the modern ethos at a very high level of rationality, which does not rule out incoherence, contradictions and aporias that highlight its essentially finite nature. But it is precisely on the basis of this unresolved question that Hegel’s political philosophy becomes relevant today.
Papers by carla maria fabiani
Dialettica&Filosofia, Nuova Serie, XVIII, 2024 Carla Maria Fabiani, Marx, il marxismo italiano e lo Stato come problema, 2024
Abstract
I first reconstruct the debate on the State between Bobbio and the Italian Marxists in t... more Abstract
I first reconstruct the debate on the State between Bobbio and the Italian Marxists in the mid-1970s; after which I proceed to briefly read Marx's Kritik of 1843; In conclusion, I focus on the strong presence of the State in Marx's Capital, especially in the 24th chapter of the first book.
Keywords
Marx, Italian Marxism, crisis of Marxism, State, capital
https://www.dialetticaefilosofia.it/ n. XVII, 2023
The aim of this paper is to bring to light dynamics that can be traced back to the triple logic o... more The aim of this paper is to bring to light dynamics that can be traced back to the triple logic of recognition (Anerkennung, der Kampf um Anerkennung, Anerkanntsein), within the encyclopaedic text that inaugurates the Philosophy of Spirit, the Anthropology, in which Hegel puts forward his point of view on the notion of soul [Seele], basing it on the philosophical tradition that takes its origin in Greece and goes as far as Schelling. Below will be proposed reading of some passages from Hegel's anthropological treatment, in which emerges Hegel's original rethinking of Seele and its redefinition in terms of Geist.
The aim of this paper is to bring to light dynamics that can be traced back to the triple logic o... more The aim of this paper is to bring to light dynamics that can be traced back to the triple logic of recognition (Anerkennung, der Kampf um Anerkennung, Anerkanntsein), within the encyclopaedic text that inaugurates the Philosophy of Spirit, the Anthropology, in which Hegel puts forward his point of view on the notion of soul [Seele], basing it on the philosophical tradition that takes its origin in Greece and goes as far as Schelling. Below will be proposed reading of some passages from Hegel's anthropological treatment, in which emerges Hegel's original rethinking of Seele and its redefinition in terms of Geist.
L'oggettività è così quasi soltanto un involucro sotto il quale si trova nascosto il concetto. Ne... more L'oggettività è così quasi soltanto un involucro sotto il quale si trova nascosto il concetto. Nel finito non possiamo vedere o esperire che il fine viene veramente raggiunto. L'attuazione del fine infinito consiste così soltanto nel superare l'illusione che ancora non sia attuato. Il bene, ciò che è assolutamente bene, si compie eternamente nel mondo, e il risultato è che esso è già compiuto in sé e per sé, e non ha bisogno di aspettare noi. È questa l'illusione in cui viviamo e, al tempo stesso, è quest'illusione soltanto la forza operante su cui riposa l'interesse del mondo. [Soluzioni...p.233n]
Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta.
È difficile combattere contro il desiderio [thumō]: ciò che vuole, infatti, lo compra pagandolo c... more È difficile combattere contro il desiderio [thumō]: ciò che vuole, infatti, lo compra pagandolo con l'anima. [Eraclito, 86(105). Plutarh. Coriol. 22] §1 Premessa Potrebbe ottenere esito sorprendente ricercare il termine Begierde all'interno dell'Enciclopedia hegeliana, soprattutto nella parte finale, nella Filosofia dello spirito, e in alcuni, pochi ma significativi, passi dell'Estetica 1 . Sorprendente per chi, come gran parte degli interpreti, riconduce il tema del desiderio in Hegel alla ormai classica lettura kojèviana della Fenomenologia dello spirito 2 .
Idee Rivista Di Filosofia, Dec 31, 2004
STORIA DEL PENSIERO ECONOMICO, Jan 1, 2007
The aim of this paper is to provide a reconstruction of Hegel’s theory of economic development. T... more The aim of this paper is to provide a reconstruction of Hegel’s theory of economic development. The Jena writings and the Philosophy of Right are considered and it is shown that Hegel proposed a description of the functioning of market economies where overproduction crises inevitably occur. Overproduction is due, in turn, to the continuous increase in the demand for luxury goods and the parallel decrease in the production of wage goods. This gives rise to the genesis of the Pöbel, i.e. the unemployed without social (and moral) recognition. The paper explores the analytical links which, although implicitly, lead to these conclusions. A comparison between Hegel and Smith is also provided, in the light of the debate on the ‘invisible hand’ approach. Hegel’s view appears to be in contrast with Smithian ‘optimism’ and, therefore, with his theory of economic development. Keywords: History of economic thought; Income distribution, prices and cyclical fluctuations; Labour economics.
Il problema dello stato in k. marx
Carla Maria Fabiani: Il problema dello Stato in K. Marx © www.dialetticaefilosofia.it 2008 Dialet... more Carla Maria Fabiani: Il problema dello Stato in K. Marx © www.dialetticaefilosofia.it 2008 Dialettica e filosofia -ISSN 1974 Questa opera è pubblicata sotto una Licenza: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ 5 Carla Maria Fabiani: Il problema dello Stato in K. Marx © www.dialetticaefilosofia.it 2008 Dialettica e filosofia -ISSN 1974 Questa opera è pubblicata sotto una Licenza: http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/ 7 filosofia hegeliana del diritto pubblico, per rilevare quelle aporie o mancanze di forma e di contenuto che sono state poi da Marx stesso lamentate, spingendolo a interrompere lo studio del diritto hegeliano, ma non la riflessione filosofico-politica sullo Stato moderno.
L'ineffabile, l'anima e l'origine. Una riflessione sul Geist hegeliano La conversazione cadde sul... more L'ineffabile, l'anima e l'origine. Una riflessione sul Geist hegeliano La conversazione cadde sulla dialettica. "In fondo --disse Hegel --la dialettica non è altro che lo spirito di contraddizione [Widerspruchsgeist], regolato e metodicamente coltivato, insito in ogni uomo; uno spirito che celebra la sua grandezza nella distinzione tra il vero e il falso [Unterscheidung des Wahren vom Falschen]." "Purché --intervenne Goethe --questa capacità e queste arti dello spirito non siano così spesso male impiegate e utilizzate per rendere vero il falso e falso il vero." "Certo --ribatté Hegel --questo succede, ma soltanto ad uomini che hanno lo spirito malato [die geistig krank sind]." [J.P. Eckermann, Colloqui con Goethe, 18 ottobre 1827].
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Books by carla maria fabiani
Stefano G. Azzarà e Stefano Visentin (Università di Urbino)
Anche dalla pubblicistica più indulgente, la Rivoluzione d’ottobre viene per lo più rappresentata oggi come un incidente della storia e cioè come una diabolica deviazione del corso del mondo dalla normale modernizzazione liberale: una sorta di Sonderweg russo di estrema sinistra. Ancor più spesso viene presentata però come una catastrofe politica originaria, ovvero come un’eruzione di fanatismo demagogico tardo-giacobino dalla quale sarebbero scaturite tutte le correnti totalitarie che hanno poi attraversato il Ventesimo secolo. È la celebre tesi di Ernst Nolte, convinto, sulla scorta di Heidegger e Schmitt, che il nazismo e il suo «genocidio di razza» fossero un semplice «contromovimento» reattivo nei confronti del «genocidio di classe» bolscevico. Nonostante i grandi cambiamenti che sul piano materiale come su quello culturale ci separano irreversibilmente dall’epoca e dal clima del dopoguerra – e nonostante cento anni siano ormai passati – quell’evento è però tutt’ora ricordato e studiato in tutto il mondo. E molte tra le maggiori Università, comprese quelle italiane, hanno cercato di affrontarne la memoria e le ripercussioni come esse meritano e cioè su un piano che deve essere anzitutto storiografico e filosofico-politico e non certamente ideologico e propagandistico.
Pur avendo scandalizzato anche quella parte – minoritaria – della storiografia liberale che era rimasta fedele al paradigma democratico e antifascista, le tesi di Nolte non sono, a guardar bene, troppo distanti da quella «teoria del totalitarismo» che dai tempi della Dottrina Truman definisce gli assi interpretativi fondamentali della visione del mondo liberaldemocratica occidentale. Non stupisce perciò che esse continuino ad avere un notevole seguito, tanto più che il modello interpretativo che semplifica la storia universale sulla base della coppia libertà/totalitarismo si presta ad essere traslato e variato con la medesima leggerezza nelle più diverse epoche. Non a caso, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, è proprio quell’idealtipo storiografico prêt-à-porter l’ipotesi di lavoro prevalente che guida oggi le ricerche sull’islamismo radicale (considerato da Daniel Pipes come da numerosi altri autori come la «terza ondata» di una sorta di totalitarismo ideale eterno pervicacemente impegnato a cancellare il Mondo Libero) e persino sul cosiddetto “populismo”.
Tuttavia, la nostra impressione è che questo straordinario consensus che accomuna ormai le più diverse posizioni culturali e politiche – incluse alcune tra le tendenze intellettuali che erano state eredi della tradizione del marxismo novecentesco ma che hanno mutato i loro riferimenti culturali senza dilungarsi troppo nell’elaborazione concettuale di questo spostamento –, ben poco abbia di scientifico ma sia in gran parte determinato e corroborato dalla vittoria di sistema conseguita da una delle due parti in lotta al termine della Guerra Fredda. E pensiamo, in questa prospettiva, che il compito di una storiografia e di una riflessione filosofico-politica rigorose e autonome sia in primo luogo esattamente il contrario ovvero quello di sottoporre ad analisi critica il punto di vista dei vincitori: quell’interpretazione che troppo facilmente tracima nel senso comune fino a diventare verità indiscussa e indiscutibile, quasi ideologia che ridiventa natura.
In realtà, anche a uno sguardo superficiale non è possibile negare che almeno due delle caratteristiche fondamentali del nostro tempo e della democrazia moderna intesa come democrazia progressiva sarebbero letteralmente impensabili senza la rottura che la Rivoluzione russa, in particolare quella d’ottobre, ha rappresentato nella storia contemporanea.
In primo luogo, gli eventi russi – i quali di per sé contribuiscono in maniera esemplare a illuminare i nessi che sussistono tra conflitto politico-sociale, democrazia e guerra – rappresentano l’avvio di quel più ampio e complessivo processo di rivoluzionamento del mondo contemporaneo che è costituito dalla decolonizzazione e i cui effetti non sono ancora conclusi. La messa in discussione dell’ordinamento eurocentrico della Terra inizia certamente già nel XIX secolo, a partire dalle prime sollevazioni in America Latina, in Medio Oriente, in Asia, e soprattutto a partire da quella guerra ispano-americana che ha dato avvio al progetto egemonico globale statunitense. E però è solo con l’impulso della Rivoluzione d’ottobre che – grazie alle intuizioni politiche di Lenin e al tentativo di universalizzare le conseguenze del marxismo costruendo un ponte politico tra Occidente e Oriente, Città e Campagna, Centro e Periferia – la rottura dell’ordine coloniale diventa un fenomeno di portata planetaria e significativo sul piano politico. Un fenomeno che condizionerà gli sviluppi interni agli stessi Stati nazionali euro-occidentali e che darà vita a uno dei presupposti fondamentali della democrazia moderna: l’idea di un diritto internazionale basato sul principio di eguaglianza (gli stessi 14 punti di Wilson sono successivi al 1917).
In secondo luogo – e non è possibile qui più di un accenno –, va ribadito come anche gli storiografi di orientamento liberal-conservatore (ma Hayek e Popper lo avevano fatto notare con sdegno già molti decenni prima...) siano ormai dell’idea che la deterrenza costituita dalla presenza di un competitore politico, economico e ideologico su scala globale abbia svolto un ruolo determinante nello sviluppo dei sistemi di Welfare ai quali la democrazia occidentale e persino lo stesso capitalismo consumeristico devono gran parte del proprio sviluppo. Non è un caso che la fine della Guerra Fredda abbia coinciso con l’inizio dello smantellamento di questi sistemi ovvero con l’espunzione dal mercato capitalistico di ogni elemento di responsabilità sociale e intervento pubblico e con l’apertura di un’epoca politica e economica completamente nuova, tutta all’insegna dell’individualismo proprietario ma anche della crisi permanente.
Le grandi trasformazioni iniziate con il periodo 1989-91 non sono ancora terminate. All’esplosione della globalizzazione (che ha fatto gridare alcuni frettolosi interpreti ad una ormai compiuta «fine della storia») sono in realtà seguiti imponenti sconvolgimenti in tutti i settori della vita sociale, dall’economia alla scienza-tecnologia alle tecniche di governo; trasformazioni che a loro volta hanno innescato nuove contraddizioni e nuovi conflitti interni ai singoli paesi come su scala planetaria. È possibile leggere queste trasformazioni e le tensioni che esse hanno generato senza metterle a confronto con la categoria di rivoluzione? E cosa rimane oggi di quelle ulteriori tracce della Rivoluzione russa che tanto in profondità hanno scavato nella democrazia moderna e nelle sue forme di coscienza, a partire dalla costituzione delle identità politiche che hanno animato la fenomenologia del conflitto per oltre un cinquantennio? Cosa è rimasto, infine, dell’esperienza politica e della riflessione di un uomo, Lenin, il cui nome oggi sconosciuto ai più ha rappresentato uno spartiacque per quasi un secolo?
A queste e ad altre domande abbiamo cercato di dare, se non una risposta, almeno uno spazio di riflessione e una giusta risonanza in un recente convegno. Un momento di confronto che ha ospitato punti di vista anche molto distanti tra loro – pensiamo alla questione del rapporto tra socialismo e principio nazionale oppure al tema dello sviluppo delle forze produttive e della NEP – e del quale riportiamo qui la prima parte degli atti, affiancandola ad altri contributi. Il convegno, promosso dal Dipartimento di studi umanistici e dal Dipartimento di economia, società e politica dell’Università di Urbino, ha avuto il patrocinio dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken, che qui ringraziamo.
Completano questo numero di “Materialismo Storico” – dedicato più in generale a «rivoluzioni e restaurazioni, guerre e grandi crisi storiche» – un saggio di Venanzio Raspa su Meinong e la Prima guerra mondiale, un’intervista sulla crisi capitalistica all’economista dell’Università di Siena Ernesto Screpanti, una lettura decisamente controcorrente dell’ultimo Foucault e la traduzione italiana di un assai dibattuto intervento di Gianni Vattimo e Santiago Zabala sul «comunismo ermeneutico». Di particolare rilievo è infine per noi l’intervista di Gianfranco Rebucini ad Andrè Tosel, probabilmente l’ultima che sia stata rilasciata dal nostro compianto collega, amico, maestro (pubblichiamo su questo numero la prima parte e sul prossimo, previsto per luglio, la seconda).
a cura di Mariannina Failla e Francesco ToTo
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to differ from each other. The concept of Rabble (Pöbel) appears in the Philosophy of Right in 1821, whereas the Anerkennung goes back to the years in Jena and, in particular, to the Phenomenology of Spirit. The purpose of this work is to stress the link between them. Such a link was not dealt with by Hegel, so we intend to bring it out through the analysis of Hegel’s works. Pöbel and Anerkennung problematically intersect throughout their course with aporetic outcomes. Their intersection, if detected, shows historically determined features: the modern age, the modern civil society and the modern political State. [...]
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to differ from each other. The concept of Rabble (Pöbel) appears in the Philosophy of Right in 1821, whereas the Anerkennung goes back to the years in Jena and, in particular, to the Phenomenology of Spirit. The purpose of this work is to stress the link between them. Such a link was not dealt with by Hegel, so we intend to bring it out through the analysis of Hegel’s works. Pöbel and Anerkennung problematically intersect throughout their course with aporetic outcomes. Their intersection, if detected, shows historically determined features: the modern age, the modern civil society and the modern political State. The theoretical field within which we intend to proceed, and within which Hegel’s works proceed, is predominantly philosophical-political, embedded in the terrain of the modern age. This is an age in which the logic and dynamics of recognition are Anerkanntsein, i.e. actualised recognition, and nevertheless, on that same terrain, a form of subjectivity is reproduced that exceeds such dynamics ex ante and does not fight to be recognised. The world of political economy with its own laws, i.e. the system of needs, appears as an inorganic “second nature” in terms of spirit, and the Rabble as devoid of spirit. Therefore, the principle of recognition shows a margin of incompleteness on the level of the objective spirit, which does not weaken its inner logic – the being-recognized -, but downgrades it to must-be, i.e. to a prescription, rather than an established fact. The modern age does not always achieve what it proclaims as its universal principle. In this sense, recognition – which occurs in at least three different meanings in Hegel’s works – is a concrete universal: it is not a formalism of reason, an a priori condition of action and social life; it is what actually takes place. It is the achievement of the modern ethos at a very high level of rationality, which does not rule out incoherence, contradictions and aporias that highlight its essentially finite nature. But it is precisely on the basis of this unresolved question that Hegel’s political philosophy becomes relevant today.
Papers by carla maria fabiani
I first reconstruct the debate on the State between Bobbio and the Italian Marxists in the mid-1970s; after which I proceed to briefly read Marx's Kritik of 1843; In conclusion, I focus on the strong presence of the State in Marx's Capital, especially in the 24th chapter of the first book.
Keywords
Marx, Italian Marxism, crisis of Marxism, State, capital
Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta.
Quaderni di Dialettica e Filosofia, n.2, Novembre-Dicembre 2014/ I
http://www.dialetticaefilosofia.it/elenco-quaderni.asp
www.dialetticaefilosofia.it
ISSN 1974-417X [on line]
Stefano G. Azzarà e Stefano Visentin (Università di Urbino)
Anche dalla pubblicistica più indulgente, la Rivoluzione d’ottobre viene per lo più rappresentata oggi come un incidente della storia e cioè come una diabolica deviazione del corso del mondo dalla normale modernizzazione liberale: una sorta di Sonderweg russo di estrema sinistra. Ancor più spesso viene presentata però come una catastrofe politica originaria, ovvero come un’eruzione di fanatismo demagogico tardo-giacobino dalla quale sarebbero scaturite tutte le correnti totalitarie che hanno poi attraversato il Ventesimo secolo. È la celebre tesi di Ernst Nolte, convinto, sulla scorta di Heidegger e Schmitt, che il nazismo e il suo «genocidio di razza» fossero un semplice «contromovimento» reattivo nei confronti del «genocidio di classe» bolscevico. Nonostante i grandi cambiamenti che sul piano materiale come su quello culturale ci separano irreversibilmente dall’epoca e dal clima del dopoguerra – e nonostante cento anni siano ormai passati – quell’evento è però tutt’ora ricordato e studiato in tutto il mondo. E molte tra le maggiori Università, comprese quelle italiane, hanno cercato di affrontarne la memoria e le ripercussioni come esse meritano e cioè su un piano che deve essere anzitutto storiografico e filosofico-politico e non certamente ideologico e propagandistico.
Pur avendo scandalizzato anche quella parte – minoritaria – della storiografia liberale che era rimasta fedele al paradigma democratico e antifascista, le tesi di Nolte non sono, a guardar bene, troppo distanti da quella «teoria del totalitarismo» che dai tempi della Dottrina Truman definisce gli assi interpretativi fondamentali della visione del mondo liberaldemocratica occidentale. Non stupisce perciò che esse continuino ad avere un notevole seguito, tanto più che il modello interpretativo che semplifica la storia universale sulla base della coppia libertà/totalitarismo si presta ad essere traslato e variato con la medesima leggerezza nelle più diverse epoche. Non a caso, soprattutto negli Stati Uniti ma anche in Europa, è proprio quell’idealtipo storiografico prêt-à-porter l’ipotesi di lavoro prevalente che guida oggi le ricerche sull’islamismo radicale (considerato da Daniel Pipes come da numerosi altri autori come la «terza ondata» di una sorta di totalitarismo ideale eterno pervicacemente impegnato a cancellare il Mondo Libero) e persino sul cosiddetto “populismo”.
Tuttavia, la nostra impressione è che questo straordinario consensus che accomuna ormai le più diverse posizioni culturali e politiche – incluse alcune tra le tendenze intellettuali che erano state eredi della tradizione del marxismo novecentesco ma che hanno mutato i loro riferimenti culturali senza dilungarsi troppo nell’elaborazione concettuale di questo spostamento –, ben poco abbia di scientifico ma sia in gran parte determinato e corroborato dalla vittoria di sistema conseguita da una delle due parti in lotta al termine della Guerra Fredda. E pensiamo, in questa prospettiva, che il compito di una storiografia e di una riflessione filosofico-politica rigorose e autonome sia in primo luogo esattamente il contrario ovvero quello di sottoporre ad analisi critica il punto di vista dei vincitori: quell’interpretazione che troppo facilmente tracima nel senso comune fino a diventare verità indiscussa e indiscutibile, quasi ideologia che ridiventa natura.
In realtà, anche a uno sguardo superficiale non è possibile negare che almeno due delle caratteristiche fondamentali del nostro tempo e della democrazia moderna intesa come democrazia progressiva sarebbero letteralmente impensabili senza la rottura che la Rivoluzione russa, in particolare quella d’ottobre, ha rappresentato nella storia contemporanea.
In primo luogo, gli eventi russi – i quali di per sé contribuiscono in maniera esemplare a illuminare i nessi che sussistono tra conflitto politico-sociale, democrazia e guerra – rappresentano l’avvio di quel più ampio e complessivo processo di rivoluzionamento del mondo contemporaneo che è costituito dalla decolonizzazione e i cui effetti non sono ancora conclusi. La messa in discussione dell’ordinamento eurocentrico della Terra inizia certamente già nel XIX secolo, a partire dalle prime sollevazioni in America Latina, in Medio Oriente, in Asia, e soprattutto a partire da quella guerra ispano-americana che ha dato avvio al progetto egemonico globale statunitense. E però è solo con l’impulso della Rivoluzione d’ottobre che – grazie alle intuizioni politiche di Lenin e al tentativo di universalizzare le conseguenze del marxismo costruendo un ponte politico tra Occidente e Oriente, Città e Campagna, Centro e Periferia – la rottura dell’ordine coloniale diventa un fenomeno di portata planetaria e significativo sul piano politico. Un fenomeno che condizionerà gli sviluppi interni agli stessi Stati nazionali euro-occidentali e che darà vita a uno dei presupposti fondamentali della democrazia moderna: l’idea di un diritto internazionale basato sul principio di eguaglianza (gli stessi 14 punti di Wilson sono successivi al 1917).
In secondo luogo – e non è possibile qui più di un accenno –, va ribadito come anche gli storiografi di orientamento liberal-conservatore (ma Hayek e Popper lo avevano fatto notare con sdegno già molti decenni prima...) siano ormai dell’idea che la deterrenza costituita dalla presenza di un competitore politico, economico e ideologico su scala globale abbia svolto un ruolo determinante nello sviluppo dei sistemi di Welfare ai quali la democrazia occidentale e persino lo stesso capitalismo consumeristico devono gran parte del proprio sviluppo. Non è un caso che la fine della Guerra Fredda abbia coinciso con l’inizio dello smantellamento di questi sistemi ovvero con l’espunzione dal mercato capitalistico di ogni elemento di responsabilità sociale e intervento pubblico e con l’apertura di un’epoca politica e economica completamente nuova, tutta all’insegna dell’individualismo proprietario ma anche della crisi permanente.
Le grandi trasformazioni iniziate con il periodo 1989-91 non sono ancora terminate. All’esplosione della globalizzazione (che ha fatto gridare alcuni frettolosi interpreti ad una ormai compiuta «fine della storia») sono in realtà seguiti imponenti sconvolgimenti in tutti i settori della vita sociale, dall’economia alla scienza-tecnologia alle tecniche di governo; trasformazioni che a loro volta hanno innescato nuove contraddizioni e nuovi conflitti interni ai singoli paesi come su scala planetaria. È possibile leggere queste trasformazioni e le tensioni che esse hanno generato senza metterle a confronto con la categoria di rivoluzione? E cosa rimane oggi di quelle ulteriori tracce della Rivoluzione russa che tanto in profondità hanno scavato nella democrazia moderna e nelle sue forme di coscienza, a partire dalla costituzione delle identità politiche che hanno animato la fenomenologia del conflitto per oltre un cinquantennio? Cosa è rimasto, infine, dell’esperienza politica e della riflessione di un uomo, Lenin, il cui nome oggi sconosciuto ai più ha rappresentato uno spartiacque per quasi un secolo?
A queste e ad altre domande abbiamo cercato di dare, se non una risposta, almeno uno spazio di riflessione e una giusta risonanza in un recente convegno. Un momento di confronto che ha ospitato punti di vista anche molto distanti tra loro – pensiamo alla questione del rapporto tra socialismo e principio nazionale oppure al tema dello sviluppo delle forze produttive e della NEP – e del quale riportiamo qui la prima parte degli atti, affiancandola ad altri contributi. Il convegno, promosso dal Dipartimento di studi umanistici e dal Dipartimento di economia, società e politica dell’Università di Urbino, ha avuto il patrocinio dell’Istituto italiano per gli studi filosofici e della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx für dialektisches Denken, che qui ringraziamo.
Completano questo numero di “Materialismo Storico” – dedicato più in generale a «rivoluzioni e restaurazioni, guerre e grandi crisi storiche» – un saggio di Venanzio Raspa su Meinong e la Prima guerra mondiale, un’intervista sulla crisi capitalistica all’economista dell’Università di Siena Ernesto Screpanti, una lettura decisamente controcorrente dell’ultimo Foucault e la traduzione italiana di un assai dibattuto intervento di Gianni Vattimo e Santiago Zabala sul «comunismo ermeneutico». Di particolare rilievo è infine per noi l’intervista di Gianfranco Rebucini ad Andrè Tosel, probabilmente l’ultima che sia stata rilasciata dal nostro compianto collega, amico, maestro (pubblichiamo su questo numero la prima parte e sul prossimo, previsto per luglio, la seconda).
a cura di Mariannina Failla e Francesco ToTo
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to differ from each other. The concept of Rabble (Pöbel) appears in the Philosophy of Right in 1821, whereas the Anerkennung goes back to the years in Jena and, in particular, to the Phenomenology of Spirit. The purpose of this work is to stress the link between them. Such a link was not dealt with by Hegel, so we intend to bring it out through the analysis of Hegel’s works. Pöbel and Anerkennung problematically intersect throughout their course with aporetic outcomes. Their intersection, if detected, shows historically determined features: the modern age, the modern civil society and the modern political State. [...]
Rabble and Recognition, two purely Hegelian concepts, may seem to differ from each other. The concept of Rabble (Pöbel) appears in the Philosophy of Right in 1821, whereas the Anerkennung goes back to the years in Jena and, in particular, to the Phenomenology of Spirit. The purpose of this work is to stress the link between them. Such a link was not dealt with by Hegel, so we intend to bring it out through the analysis of Hegel’s works. Pöbel and Anerkennung problematically intersect throughout their course with aporetic outcomes. Their intersection, if detected, shows historically determined features: the modern age, the modern civil society and the modern political State. The theoretical field within which we intend to proceed, and within which Hegel’s works proceed, is predominantly philosophical-political, embedded in the terrain of the modern age. This is an age in which the logic and dynamics of recognition are Anerkanntsein, i.e. actualised recognition, and nevertheless, on that same terrain, a form of subjectivity is reproduced that exceeds such dynamics ex ante and does not fight to be recognised. The world of political economy with its own laws, i.e. the system of needs, appears as an inorganic “second nature” in terms of spirit, and the Rabble as devoid of spirit. Therefore, the principle of recognition shows a margin of incompleteness on the level of the objective spirit, which does not weaken its inner logic – the being-recognized -, but downgrades it to must-be, i.e. to a prescription, rather than an established fact. The modern age does not always achieve what it proclaims as its universal principle. In this sense, recognition – which occurs in at least three different meanings in Hegel’s works – is a concrete universal: it is not a formalism of reason, an a priori condition of action and social life; it is what actually takes place. It is the achievement of the modern ethos at a very high level of rationality, which does not rule out incoherence, contradictions and aporias that highlight its essentially finite nature. But it is precisely on the basis of this unresolved question that Hegel’s political philosophy becomes relevant today.
I first reconstruct the debate on the State between Bobbio and the Italian Marxists in the mid-1970s; after which I proceed to briefly read Marx's Kritik of 1843; In conclusion, I focus on the strong presence of the State in Marx's Capital, especially in the 24th chapter of the first book.
Keywords
Marx, Italian Marxism, crisis of Marxism, State, capital
Torneremo, nel corso di questa breve recensione, sull'idea hegeliana del Bene e la sua genesi, seguendo il prezioso e limpido commento di Francesco Valentini. Emergerà, in chi si appresta a leggere Soluzioni hegeliane, l'esigenza di comprendere il pensiero di Hegel a partire da Hegel, e al contempo l'esigenza sarà pienamente soddisfatta.
Quaderni di Dialettica e Filosofia, n.2, Novembre-Dicembre 2014/ I
http://www.dialetticaefilosofia.it/elenco-quaderni.asp
www.dialetticaefilosofia.it
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REGISTRAZIONE AUDIO A CURA DI C. BAZZOCCHI
SERGIO CREMASCHI, TRADIZIONI MORALI.
S. Cremaschi Tradizioni morali Greci, ebrei, cristiani islamici Edizioni di storia e letteratura 2015 Il volume ricostruisce il farsi di diversi filoni di riflessione critica sui codici di norme accettati nelle società del bacino del Mediterraneo fino agli inizi dell'età moderna. Il campo di ricerca così delineato è una dialettica mai veramente spentasi fra ethos, tradizioni morali e teorie etiche come quelle di Aristotele. La lezione che possiamo trarre da questa polifonica vicenda storico-concettuale è la necessità di spezzare la gabbia di due opposti storicismi: lo storicismo trionfalista, che interpreta la storia dell'Occidente come avvento di una Ragione in grado di disperdere una volta per sempre le nebbie della superstizione, generando così la 'nuova morale' da impartire da una cattedra al popolo; e lo storicismo tradizionalista, religioso o ateo, che piange invece la perdita delle 'radici', teme il diffondersi del 'relativismo' e trema all'idea che gli esseri umani siano lasciati liberi di seguire in autonomia la propria coscienza. http://www.lett.unipmn.it/docenti/cremaschi/
(recensione a cura di Carla Maria Fabiani)
Un mondo senza guerre. L'idea di pace dalle promesse del passato alle tragedie del presente, Carocci 2016.