Valeria Di Cola
Archeologa, specialista in metodologie della ricerca archeologica e metodi di documentazione archeologica.
Attualmente sono Adjunct Professor of Archaeology alla Fondazione IES Abroad e ricercatrice indipendente in archeologia dell'architettura e metodi di divulgazione scientifica.
Progetti di ricerca in corso:
- indagine sulle opere miste nel mondo romano (studio in corso: tomba Barberini, Ostia antica)
- "muri per tutti", progetto di divulgazione dell'archeologia stratigrafica e urbana di Roma e del mondo romano.
Laureata in Storia e Conservazione del Patrimonio Artistico, curriculum archeologico (2005) ho acquisito le prime competenze sul campo con una tesi in Rilevamento Archeologico, analizzando un edificio sepolcrale sulla via Appia antica. Sviluppato l’interesse per le tecniche di rilievo, ho poi conseguito la laurea specialistica in Scienze dell’archeologia e metodologie della ricerca storico-archeologica (2008), con una tesi in Archeologia dell'Architettura sulle Terme del Nuotatore in Ostia, approfondendo il legame tra tecniche di rilievo e loro applicazione alla lettura stratigrafica dei depositi e del costruito. Ho quindi pubblicato con Maura Medri l’edizione monografica dell’edificio, dallo scavo alla ricostruzione (“Le Terme del Nuotatore. Cronologia di un’insula ostiense”, Roma, L’Erma di Bretschneider 2013).
Ho poi conseguito un dottorato in Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e di architettura (2012) concentrando la ricerca sulla contestualizzazione storica delle vicende edilizie dell’arco di Druso, nell’ambito della più vasta indagine sul primo miglio della via Appia. Approfondendo i temi dell’archeologia urbana, ha elaborato una monografia fondata sull’approccio globale e sull’intreccio di diverse categorie di fonti per la ricostruzione storica, in prospettiva diacronica, di una realtà stratificata complessa (“L’arco di Druso sulla via Appia, Bari, Edipuglia 2019, Premio “Renzo Ceglie”).
La formazione scientifica è andata di pari passo con l’impegno sul campo, attraverso la partecipazione a importanti missioni di scavo (Foro di Cesare, Foro di Traiano, Populonia, Pompei) in qualità di esperta di rilievo archeologico e di stratigrafia.
Dal 2012 al 2022 mi sono occupata di didattica dell’archeologia, in italiano e in inglese, per conto del concessionario del Mic ai servizi culturali “Coopculture” e ho maturato particolari competenze nelle tecniche di racconto dell’archeologia partecipando a workshop e corsi di formazione tenuti da importanti professionisti del settore (Edizioni Artebambini, Sista Bramini).
Dal 2017 sono co-fondatrice e curatrice del progetto di Archeologia Pubblica “Appia Primo Miglio”, nato per costruire un percorso di valorizzazione ‘dal basso’ attraverso l’integrazione fra comunità locale e i luoghi del primo miglio della via Appia a Roma e in armonia con i principali enti preposti alla tutela, gestione e valorizzazione dell’area (Parco Regionale dell’Appia, Parco Archeologico dell’Appia Antica, Soprintendenze capitolina e statale).
In ambito accademico ho collaborato per 15 anni con la cattedra di Metodologie della Ricerca Archeologica presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre.
Come assegnista di ricerca (2016-2020) ho lavorato sui paesaggi storici di Roma e la Zona Archeologica Monumentale, con particolare riguardo ai temi: Mura Aureliane e necropoli del primo miglio della Via Appia.
Address: https://wordpress.com/stats/day/muripertutti.wordpress.com
Attualmente sono Adjunct Professor of Archaeology alla Fondazione IES Abroad e ricercatrice indipendente in archeologia dell'architettura e metodi di divulgazione scientifica.
Progetti di ricerca in corso:
- indagine sulle opere miste nel mondo romano (studio in corso: tomba Barberini, Ostia antica)
- "muri per tutti", progetto di divulgazione dell'archeologia stratigrafica e urbana di Roma e del mondo romano.
Laureata in Storia e Conservazione del Patrimonio Artistico, curriculum archeologico (2005) ho acquisito le prime competenze sul campo con una tesi in Rilevamento Archeologico, analizzando un edificio sepolcrale sulla via Appia antica. Sviluppato l’interesse per le tecniche di rilievo, ho poi conseguito la laurea specialistica in Scienze dell’archeologia e metodologie della ricerca storico-archeologica (2008), con una tesi in Archeologia dell'Architettura sulle Terme del Nuotatore in Ostia, approfondendo il legame tra tecniche di rilievo e loro applicazione alla lettura stratigrafica dei depositi e del costruito. Ho quindi pubblicato con Maura Medri l’edizione monografica dell’edificio, dallo scavo alla ricostruzione (“Le Terme del Nuotatore. Cronologia di un’insula ostiense”, Roma, L’Erma di Bretschneider 2013).
Ho poi conseguito un dottorato in Storia e conservazione dell’oggetto d’arte e di architettura (2012) concentrando la ricerca sulla contestualizzazione storica delle vicende edilizie dell’arco di Druso, nell’ambito della più vasta indagine sul primo miglio della via Appia. Approfondendo i temi dell’archeologia urbana, ha elaborato una monografia fondata sull’approccio globale e sull’intreccio di diverse categorie di fonti per la ricostruzione storica, in prospettiva diacronica, di una realtà stratificata complessa (“L’arco di Druso sulla via Appia, Bari, Edipuglia 2019, Premio “Renzo Ceglie”).
La formazione scientifica è andata di pari passo con l’impegno sul campo, attraverso la partecipazione a importanti missioni di scavo (Foro di Cesare, Foro di Traiano, Populonia, Pompei) in qualità di esperta di rilievo archeologico e di stratigrafia.
Dal 2012 al 2022 mi sono occupata di didattica dell’archeologia, in italiano e in inglese, per conto del concessionario del Mic ai servizi culturali “Coopculture” e ho maturato particolari competenze nelle tecniche di racconto dell’archeologia partecipando a workshop e corsi di formazione tenuti da importanti professionisti del settore (Edizioni Artebambini, Sista Bramini).
Dal 2017 sono co-fondatrice e curatrice del progetto di Archeologia Pubblica “Appia Primo Miglio”, nato per costruire un percorso di valorizzazione ‘dal basso’ attraverso l’integrazione fra comunità locale e i luoghi del primo miglio della via Appia a Roma e in armonia con i principali enti preposti alla tutela, gestione e valorizzazione dell’area (Parco Regionale dell’Appia, Parco Archeologico dell’Appia Antica, Soprintendenze capitolina e statale).
In ambito accademico ho collaborato per 15 anni con la cattedra di Metodologie della Ricerca Archeologica presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Roma Tre.
Come assegnista di ricerca (2016-2020) ho lavorato sui paesaggi storici di Roma e la Zona Archeologica Monumentale, con particolare riguardo ai temi: Mura Aureliane e necropoli del primo miglio della Via Appia.
Address: https://wordpress.com/stats/day/muripertutti.wordpress.com
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Papers by Valeria Di Cola
Information on building techniques at Ostia Antica merits continuous updates when there are opportunities for further consideration on the basis of a direct and global approach to the buildings, with a good chance of adding new data to our knowledge of building techniques, design choices, and associated chronologies. The research presented here originates from the PRIN 2017 project "The architecture of the Emperor. Official and private residences, urban landscapes and ports in the Hadrianic period (117-138 AD)", in which the Roma Tre research unit carried out an in-depth study of Ostia. The purpose of this is to compile an up-to-date record of built features, with a focus on the Hadrianic period. In the stratigraphic approach to the context at Ostia, adopted in this study, not only the Hadrianic phase but also earlier and later phases are analyzed. The aim is to determine, as far as possible, the forms and functions of the buildings over time. Accordingly, consideration is given to an analysis of construction techniques, and in particular those defined as 'mixed', setting out from a context-based approach, with the aim of outlining a periodization, albeit generic, of buildings not examined in specific studies. It immediately became apparent that there is a problematic relationship between the way walls were constructed, traditional terminology and chronology, and actual dates suggested by the stratigraphic relationships that are to be observed in relation to individual contexts. Thus, rather than setting out from generic terms indicating an evolution, we started from those cases considered to be significant as regards stratigraphy, trying to focus on characteristics found to recur in masonry features, and in what way these may occur in combination. It is therefore believed that mapping these contexts, translating them into an overall vision, highlighting stratigraphic, typological and technological aspects, can only help to enhance the current state of knowledge of Ostia's urban development, and the more specific aspects of tradition and innovation in construction.
Information on building techniques at Ostia Antica merits continuous updates when there are opportunities for further consideration on the basis of a direct and global approach to the buildings, with a good chance of adding new data to our knowledge of building techniques, design choices, and associated chronologies. The research presented here originates from the PRIN 2017 project "The architecture of the Emperor. Official and private residences, urban landscapes and ports in the Hadrianic period (117-138 AD)", in which the Roma Tre research unit carried out an in-depth study of Ostia. The purpose of this is to compile an up-to-date record of built features, with a focus on the Hadrianic period. In the stratigraphic approach to the context at Ostia, adopted in this study, not only the Hadrianic phase but also earlier and later phases are analyzed. The aim is to determine, as far as possible, the forms and functions of the buildings over time. Accordingly, consideration is given to an analysis of construction techniques, and in particular those defined as 'mixed', setting out from a context-based approach, with the aim of outlining a periodization, albeit generic, of buildings not examined in specific studies. It immediately became apparent that there is a problematic relationship between the way walls were constructed, traditional terminology and chronology, and actual dates suggested by the stratigraphic relationships that are to be observed in relation to individual contexts. Thus, rather than setting out from generic terms indicating an evolution, we started from those cases considered to be significant as regards stratigraphy, trying to focus on characteristics found to recur in masonry features, and in what way these may occur in combination. It is therefore believed that mapping these contexts, translating them into an overall vision, highlighting stratigraphic, typological and technological aspects, can only help to enhance the current state of knowledge of Ostia's urban development, and the more specific aspects of tradition and innovation in construction.
Sulla via Appia, poco prima di uscire dalle Mura Aureliane, si conserva un monumento ad arco conosciuto come “il così detto Arco di Druso”. E’ un fornice costituito da un’anima in opera quadrata di travertino, con archivolto e cornici di imposta in marmo bianco, e da un attico quasi totalmente scomparso con il nucleo in blocchi di peperino. Sul fronte nord si conservano i resti di un timpano costituito da elementi in marmo modanati; il prospetto sud è invece ornato da un ordine architettonico marmoreo applicato, costituito da due alti plinti ciascuno dei quali sorregge una colonna composita che termina con un architrave libero a tre fasce lisce. Sull’attico è alloggiato uno speco in opera laterizia, che insieme ai resti di due piloni in laterizio ai lati dell’arco testimoniano il passaggio di un acquedotto.
A partire dal XV secolo, l’arco è stato oggetto di diverse interpretazioni. In epoca rinascimentale fu da alcuni identificato con l’arco marmoreo di Druso Maggiore, del quale Suetonio (Claud., I.3) e i Cataloghi Regionari tardo antichi avevano tramandato l’esistenza. Alla metà del Settecento, la presenza dello speco di acquedotto sull’arco e dei piloni in laterizio nelle immediate vicinanze favorì l’elaborazione di una nuova interpretazione del monumento come il fornice monumentale dell’acquedotto Antoniniano. Da allora l’arco sulla via Appia fu definito “così detto arco di Druso”, con un’espressione che sottolineava la natura controversa della sua interpretazione. Nel corso dell’Ottocento, tuttavia, riprese vigore l’ipotesi che il monumento fosse davvero l’arco onorario di Druso Maggiore decretato dal Senato, grazie a nuovi studi che posero in evidenza le tracce di un rivestimento marmoreo, poi spoliato, che documentavano l’esistenza di un primo arco marmoreo a tre fornici poi riutilizzato per il passaggio dell’ Aqua Antoniniana. Alla fine del secolo, con Rodolfo Lanciani, tornò in auge l’ipotesi che l’arco fosse soltanto il fornice monumentalizzato dell’Acquedotto Antoniniano, per il suo aspetto incompiuto e lo stile decadente, considerati all’epoca caratteri tipici di un manufatto del III secolo. La ricostruzione proposta da Lanciani si radicò nel pensiero degli archeologi del primo Novecento, giungendo sostanzialmente immutata fino ai giorni nostri.
Per tentare di risolvere il problema di natura storica sollevato dall’arco ho proceduto a un riesame del monumento attraverso un approccio archeologico globale, fondando la ricerca sulla lettura stratigrafica delle strutture e sulla correlazione dei diversi sistemi di fonti disponibili. L’analisi ha rivelato la coesistenza, nello stesso manufatto, di almeno tre fasi principali: un primo arco marmoreo a un fornice (non trifornice come ipotizzato nel XIX secolo); un arco rimonumentalizzato all’inizio del III secolo per il passaggio dell’Acquedotto Antoniniano; un arco incluso nella controporta della porta Appia alla metà del Cinquecento. Il primo arco, in particolare, analizzato da un punto di vista architettonico e tipologico, ha trovato inaspettati quanto validi confronti con monumenti di epoca giulio-claudia, suscitando una diversa e più complessa interpretazione del monumento strettamente legata al paesaggio del primo miglio della via Appia e al ricordo dell’Arcus Drusi tramandato da Suetonio.
"
L’arco “di Druso” sulla via Appia, un monumento ben noto ma diviso da due opposte interpretazioni: l’Arcus Drusi ricordato da Suetonio (Claud. I,3) e un fornice di III secolo realizzato per favorire il passaggio dell’Acquedotto Antoniniano sulla via Appia.
Obiettivi
-‐ chiarire l’evoluzione delle riflessioni antiquarie dal XV al XX secolo, dimostrando che il toponimo è nato con Pirro Ligorio e che la corrente interpretazione dell’arco come manufatto di III secolo si deve a Piranesi e Lanciani, ma in realtà la sua storia è più complessa;
-‐ illustrare le tappe della nuova analisi archeologica e stratigrafica dell’arco condotta a partire dal monumento e fondata sull’uso combinato di tutte le fonti disponibili.
Risultati e conclusioni
Nell’arco coesistono tre fasi di vita, non una: un arco marmóreo della metà del I secolo (suggestivamente legato alle figure di Claudio e del padre Druso); l’arco è riutilizzato per il passaggio dell’Acquedotto Antoniniano; l’arco è rimonumentalizzato nel XVI secolo.
L’arco “di Druso”, quindi, offre la possibilità di una interessante quanto inaspettata reinterpretazione."
Come si legge nel frontespizio, l’opera è a cura di Guido Calza, cui si affiancano i nomi di Giovanni Becatti, Italo Gismondi, Guglielmo De Angelis D’Ossat e Herbert Bloch: personaggi diversi per provenienza, formazione, interessi e pratica dell’archeologica, ma proprio per questo capaci di offrire le diverse visioni dell’archeologia di allora sul medesimo contesto, ponendo in evidenza temi e nodi ancora attuali nella tradizione di studi ostiense.
A quasi settant’anni dall’uscita di Topografia, da considerare un vero e proprio pilastro per la conoscenza archeologica di Ostia, è di un certo interesse condurre un riesame dell’opera, alla luce delle biografie e degli interessi degli autori, del contesto storico, metodologico e professionale nel quale hanno operato per raggiungere i risultati presentati, senza trascurare la ricaduta scientifica dei contenuti sulla collettività e sulla durata dei suoi effetti. Indagando, in un certo senso, il “dietro le quinte” dell’opera, si è scesi nel dettaglio della composizione, dell’articolazione del pensiero dei vari autori e delle relazioni che intercorrono (o dovrebbero intercorrere) tra le varie parti.
Nel presente contributo si intende proporre una riflessione, seppure ancora ad uno stadio preliminare, attorno a tre temi: gli autori, i quali sembrano rappresentare al meglio le tante anime dell’archeologia in Italia tra le due guerre e l’immediato dopoguerra, in quanto soggetti appartenenti a generazioni diverse riunite attorno all’indagine della stratificazione di Ostia; la struttura dell’opera, in parte impostata da Calza e poi aggiornata dal contributo di Romanelli; i metodi di lavoro adottati da ciascun autore e la relazione che intercorre tra i loro contributi, misurati in questa sede sul caso esemplificativo della Regio III.