Book Reviews by Elena Paredi
IL FONDAMENTO DELL'ERBORISTERIA ALCHEMICA (di: Mara Mitzchar-n. 3-Kemi Hathor 1983) La pianta non... more IL FONDAMENTO DELL'ERBORISTERIA ALCHEMICA (di: Mara Mitzchar-n. 3-Kemi Hathor 1983) La pianta non va considerata solo dal punto di vista delle reazioni chimiche che in essa avvengono. È un essere vivente, che prolunga la sua vita dentro di noi. Cosa significa spagiria, termine usato per la prima volta da Paracelso? Senza far ricorso all'etimologia, potremmo definirla: applicazione al campo vegetale delle tecniche proprie dell'Arte Regia. In altre parole, la spagiria è l'utilizzazione dei prodotti della natura per la salute dell'uomo. Infatti, l'alchimista manipola e cerca di perfezionare i prodotti che la natura offre. La spagiria quindi è sinonimo di erboristeria alchemica, ossia è lo studio del regno vegetale, sia nei suoi rapporti con il Tutto, con il Cosmo, sia in secondo luogo, come opera di superamento della natura stessa, come perfezionamento degli stessi prodotti vegetali. Innazitutto bisognerà occuparsi del primo aspetto, relativo alla cristallizzazione degli Archetipi universali, (con particolare riguardo al regno vegetale) che trovano le loro analogie, ossia le loro identità occulte, nei diversi Regni, e che si compendiano nella funzione uomo. Evidentemente la spagiria, partendo da queste premesse, non trova alcun riscontro con la moderna erboristeria, che, appoggiandosi ai postulati dell'attuale medicina, segue gli stessi metodi del pensiero scientifico moderno. Infatti, un primo dato che balza prepotentemente dinanzi a tutti gli altri, e che sarà bene chiarire prima di affrontare il rapporto Cosmo-Regno vegetale, riguarda il concetto di malattia. Per l'alchimista non esistono malattie in quanto tali, bensì individui ammalati. Questo concetto, ripreso da Hahnemann ed introdotto nell'omeopatia, è di origine alchimica ed è vecchio quanto il mondo. L'alchimista, quindi, non condivide i postulati di quel pensiero scientifico che considera le malattie come enti ben definiti, come eventi individuali, che hanno vita autonoma e che aggrediscono l'organismo umano dall'esterno. Il fatto stesso di aver dato a ciascuna malattia un nome, come avvertono la vecchia filosofia cinese e l'antica saggezza egizia, significa aver creato dei Geni, ovvero degli Enti generati, e in questo caso specifico dei nuovi dèmoni perché, come affermavano gli Egizi, ciò che ha nome, ha esistenza. Il nome, infatti, qualifica una vitalità, una forma, un ciclo di esistenza. Continuando a considerare le malattie con il medesimo concetto della medicina moderna, e cioè come enti enti od individui che devono essere combattuti al pari dei dèmoni della filosofia cinese o come i mostri egizi dell'Am-Duat e quelli del Libro delle Porte" l'erboristeria andrà fatalmente a rimorchio della farmacopea ufficiale, come fanno presumere tutte le limitazioni legislative di questi ultimi anni, che la stanno agganciando al gran carro del chimismo farmaceutico.
Carlo Paredi, 1998
Cominciamo con lo spiegare il vero significato di Spagiria. Nel corso dei secoli questo termine h... more Cominciamo con lo spiegare il vero significato di Spagiria. Nel corso dei secoli questo termine ha perso la sua essenza originale per acquisire un significato negativo, nell'indicare l'uso errato dei principi alchemici, andando a significare la Chimica primitiva, in quanto tali principi venivano interpretati alla lettera, cioè in senso puramente materiale, senza tenere conto, cioè, dei così detti principi sottili che determinano i fenomeni fisici.
MISTERO CELTICO, 2020
Prologo
Cuore Celtico
(a cura di Luigi Fraschini)
Un'antica leggenda tramandata dai Gaidhea... more Prologo
Cuore Celtico
(a cura di Luigi Fraschini)
Un'antica leggenda tramandata dai Gaidheal, le genti celtiche delle Highlands e delle Isole scozzesi, narra che l'ultimo dei grandi uomini di questo popolo fu Finn Mac Cumhal. Egli, insieme con i guerrieri Fianna, era per il suo popolo un potente baluardo contro ogni male. Quando Finn lasciò questo mondo, l'anima dei Gaidheal, ricolma di tristezza, cadde in un sonno profondo.
Un'altra storia, tuttavia, racconta che Finn è ancora tra le sue genti e riposa, immerso in un sonno magico, nel cuore della sua terra.
Una volta, a un viaggiatore in cerca di un rifugio per la notte capitò di imbattersi nell'antro di una caverna che si addentrava nelle profondità della montagna. Mentre procedeva, l'oscurità e il silenzio si facevano sempre più fitti. Ad un tratto al viandante parve di udire un respiro diverso dal suo. Subito dopo ne ebbe la certezza. Non era solo! Con un filo di voce, domandò: «Chi c'è qui?» Non ebbe risposta. Nondimeno, quel respiro estraneo era sempre lì, accanto a lui.
L'uomo, assai turbato, indietreggiando appoggiò la mano sulla parete di roccia. Sentì sotto le dita del muschio umido, poi un oggetto a forma di corno.
«Che cos'è questo? — si chiese —»
In quel momento nelle tenebre una Voce parlò. Era una Voce ineffabile che sembrava vibrare al di là dello spazio e del tempo. Eppure era come se quel Suono provenisse dal fondo della sua anima.
«Questo è il corno da caccia di Finn!» «Suonalo!» No, il viandante non voleva farlo. La Voce ripeté soavemente: «Suonalo!»
Al terzo richiamo l'uomo sentì un fuoco divampare dentro di sé e con tutto il fiato che aveva suonò il corno. Uno squillo possente pervase la caverna; in esso si distingueva un'esortazione: «Svegliatevi!» Improvvisamente forme evanescenti parvero prendere corpo nell'aria e la Voce ordinò nuovamente: «Suonalo!» Il corno suonò per la seconda volta e nell'oscurità si distinse chiaramente il rumore soffocato di un'armata di guerrieri.
La tenebra allora parlò: «Chi chiama Finn e le Fianna?»
«Io vi chiamo! lo ho bisogno di Voi!» rispose la Voce e nuovamente chiese al viandante di suonare il corno. Egli, tuttavia, era ormai talmente terrorizzato che non riusciva più a comprendere quel richiamo.
Gettato a terra il grande corno delle Fianna, corse a perdifiato nella notte, mentre la Voce lo implorava di suonare ancora una volta. Ma l'uomo continuò a correre, fino a perdere del tutto il sentiero che portava alla caverna.
L'epilogo di questa storia non è ancora stato scritto; il corno di Finn attende di essere ritrovato e suonato per la terza volta. Quando ciò avverrà, lo Spirito dei Gaidheal risorgerà in tutto il suo splendore e tornerà ad essere libero.
Il presente saggio, che nasce nel solco di questo antico auspicio, vuole essere innanzitutto un richiamo appassionato a una Tradizione — quella celtica — che per millenni ha informato di sé buona parte dell'Europa, alimentando e forgiando Io Spirito dei popoli che l'abitavano.
Oggi il mondo celtico, se per un certo aspetto è tornato alla ribalta, anche grazie all'impegno di studiosi seri, ancora troppo spesso viene banalizzato e svalutato oppure fatto oggetto di uno studio prettamente storico-accademico.
L'approccio scelto dall'autrice non è né quello storico né quello "folkloristico", tipico di un gran numero di pubblicazioni dedicate ai celti; l'obiettivo principale di questo libro, infatti, è quello di contribuire a gettare luce sulla spiritualità e sul modo di essere e di rapportarsi al mondo di questi antichi europei.
Il lettore, seguendo il percorso proposto dall'autrice, avrà la possibilità di sollevare il velo sulla Filosofia di Vita di un popolo di raffinata sensibilità, che non si è preoccupato tanto di innalzare grandi templi e grandi costruzioni quanto di vivere in armonia con la Natura, di riuscire a vibrare all'unisono con essa. Ma, soprattutto, potrà constatare che anche presso i celti, come nel resto del mondo antico, il Divino veniva considerato uno nella sostanza, anche se molteplice nelle sue manifestazioni. L'OIW celtico, infatti, rappresenta l'Assoluto, la totalità delle realtà e delle possibilità, allo stesso modo dell'Atum degli egizi, dell'Ain¬Soph dei cabalisti, dell'Uno dei neoplatonici, del Grande Architetto dell'Universo dei massoni e del Dio dei cristiani.
Questo breve saggio, pertanto, vuole essere, per tutti coloro che sentono dentro di sé delle radici celtiche o un sincero interesse verso questa Tradizione, latore di un messaggio che giunga, prima che alla mente, al Cuore.
Anche se del tutto inconsciamente, l'umanità ha sempre mostrato un atteggiamento di ambivalenza n... more Anche se del tutto inconsciamente, l'umanità ha sempre mostrato un atteggiamento di ambivalenza nei riguardi del consumo della carne. Un religioso rispetto per le creature di Dio ha fatto sì che di questa indebita appropriazione ci si dovesse riscattare con dei sacrifici rituali. Fu così che in tutti i miti della perduta Età dell'Oro, come nei cerimoniali relativi a virtù da riconquistare, la connotazione della purezza e della bontà proveniva dall'astenersi dal consumo dei cibi carnei. L'alimento principe dei vegetariani, il latte, manifesta la sua purezza anche nel candido colore, ma soprattutto nel fatto di costituire la prima fonte energetica d'ogni mammifero. Tale convincimento si ritrova tra i buddisti, come tra gli hindù; è comune ai pensatori d'oriente, come Gandhi, ed ai rappresentanti della filosofia occidentale, come Rousseau e Saint-Just, per riproporsi persino nelle medicine tradizionali e popolari quale dieta depurativa. Il digiuno mussulmano del Ramadan ha un riscontro nella Quaresima cristiana, quel periodo che inizia il 40° giorno prima della Pasqua. Questi giorni vengono considerati di "magro", in contrapposizione dei giorni "grassi", che implicano anche l'idea del caldo; ed in essi vige la proibizione di nutrirsi di carne, come pure di avere rapporti sessuali, quasi per una sorta di estensione del termine dal prodotto della macellazione alla carne viva dell'alcova. Il pesce, poiché d'acqua' è considerato un cibo freddo e quindi di magro. Giorni di magro erano quelli di vigilia delle grandi feste solenni e dei bagordi, il venerdì e spesso anche il sabato, per un totale di circa metà anno. L'ambiguità del termine "carne" dovette precedere la stessa idea di peccato se sulle mense romane non mancavano mai di essere cucinate parti anatomiche evocatrici di lussuria, come la vulva e le mammelle della scrofa o i testicoli del vitello. Sembra invece che molti dei grandi iniziati si siano nutriti di miele, per lungo tempo il solo dolcificante disponibile. Democrito, il filosofo che aveva sempre vissuto in maniera frugale, quando ormai vecchio, aveva deciso di eliminare ogni giorno qualcosa dal suo pasto e non aveva più nulla da abolire, per non morire proprio nel corso dei festeggiamenti in onore di Cerere, sopravvisse fiutando l'odore del miele. Alla fine delle celebrazioni religiose eliminò anche quello e spirò. Un tempo il rapporto con le api produttrici di miele rivestiva un carattere quasi liturgico, tanto che ad Efeso ed ad Eleusi le sacerdotesse portavano nomi di api. Un residuo di tale usanza sembra essere il nome proprio Deborah, derivante dalla radice ebraica "dbr", origine sia del termine che indica l'ape, che di quello che significa "parola", verbo divino, verità.
I "Cahiers Astrologiques" cominciano in questo numero la pubblicazione degli estratti di Giustino... more I "Cahiers Astrologiques" cominciano in questo numero la pubblicazione degli estratti di Giustino da Firenze, uno degli astrologi più celebri del XVI° secolo, e sperano di poter pubblicare, con qualche piccolo taglio, le sue opere intere per gli anni a venire. Fornendo una traduzione integrale ed interminabile stesa su di una trentina dei nostri numeri, abbiamo preferito sezionare il soggetto in sei trattati differenti, nei quali i più importanti sono evidentemente quelli della Rivoluzione Solare e dell'Astrologia Mondiale. Questa traduzione ci è data da M. Ch. de Camiade, uno degli organizzatori del Congresso Astrologico Mondiale nel 1937, del quale non si è più sentito parlare, perché questo traduttore appartiene alla categoria dei ricercatori modesti che, realizzando un lavoro da benedettini (ha tradotto anche Albumazard che ha messo a disposizione dei quaderni astrologici), si chiamano fuori delle manifestazioni spettacolari ed evitano qualsiasi pubblicità. Nel suo libro sui "I Precursori dell'Astrologia Scientifica e della Tradizione" (1929), Paul Choisnard cita il nome di Giustino (pag. 57) accanto a quello di Tycho-Brahé, Cardan e Rantzau, senza dargli grande rilievo, e nemmeno parole particolari. Tuttavia, sin dall'edizione di Lione, nel 1581 (1), del "Speculum astrologiae universam mathematicam scientiam" in due volumi consistenti, il nome di Giustino è divenuto familiare ad ogni astrologo. L'opera di Giustino è prima della traduzione del Tetrabiblos (posteriore ciononostante a quelle di Cameraris e Mélaneton), una versione nella quale la presentazione non è per nulla moderna ed è paragonabile a quella delle attuali edizioni critiche: capitolo per capitolo, il testo greco è riprodotto, tradotto in latino, commentato, annotato e discusso con l'aiuto delle regole e degli aforismi degli altri autori-in particolare gli astrologi arabi che Giustino sembra avere ben conosciuto-infine viene illustrato attraverso numerosi esempi oroscopici che mettono in scena i contemporanei e sovente i clienti di Giustino. Poiché l'erudizione e il gusto per la speculazione si legano a lui in un significato molto vivido di realtà, ad un pragmatismo evidente (bisogna ricordare che dopo aver ottenuto il grado di dottore in teologia a 32 anni, lasciò l'Italia, rientrando nel mondo, fu successivamente correttore di tipografia a Lione-dove dopo il suo arrivo in Francia si fermò definitivamente-fece del commercio della carta ritoccata, fece soldi acquistando così una fortuna di sessantamila scudi, dei quali non si trovò nulla dopo la sua morte quando giunti al momento dell'esecuzione del testamento-ciò si spiega, se si accetta le accuse di Lalande secondo il quale Giustino aveva condotto una vita scandalosa. La sua fine, in ogni caso, fu degna della sua pittoresca personalità e della sua carriera movimentata, poiché, seguendo Feller, era perito vinto (schiacciato) a causa della rovina della sua biblioteca ?. ______________________________________________________________________________________ (1) La rivista "Demain" del marzo 1934, tratta delle edizioni del 1573 e 1583, ma non conosco che quella del 1581 che sembra essere la prima. Ci si può anche domandare se non si tratti semplicemente di un errore di stampa: 1573 al posto del 1581.
L' Acqua come principio attivo, ed i suoi influssi sulle fasi lunari
Da molto tempo mia moglie ed io, cerchiamo di trovare simboli in giro per la nostra amata Lombard... more Da molto tempo mia moglie ed io, cerchiamo di trovare simboli in giro per la nostra amata Lombardia, che possano in qualche modo dare testimonianza di una celticità ancora esistente. Se non vi è dubbio che le origini delle città di Milano, Como, e molte altre città sparse per il nostro territorio che una volta era l'Insubria sono celtiche è più difficile dimostrare una continuità storica o quanto meno trovare testimonianza di una coscienza delle radici che arrivi fino ai giorni nostri. I luoghi in questione sono già abbastanza suggestivi da poter "trasmettere" una forte e arcaica presenza, anche in una città come Milano, se cerchiamo bene e ci guardiamo bene attorno, possiamo trovare simboli di differenti epoche che riconducono alla natura celtica della città. Ho voluto scegliere solo un simbolo, il Triskell, per dimostrare che seppur qualche volta in modo quasi "occulto", questo simbolo è stato rappresentato nelle epoche più svariate sul nostro territorio. La scelta dei luoghi tra Milano e Como è dettata dal fatto che in questi luoghi mia moglie ed io abbiamo una maggiore conoscenza del territorio e vi passiamo certamente più tempo.
Sul termine fuoco, sulla sua vera essenza, sul suo impiego, sulle sue varianti, gli alchimisti ha... more Sul termine fuoco, sulla sua vera essenza, sul suo impiego, sulle sue varianti, gli alchimisti hanno versato fiumi di inchiostro, e più hanno scritto su questo argomento, più Io hanno nascosto. In sostanza, con l'intento (non troppo sincero) di rivelarne la sua identità, hanno pensato bene di rivelarlo, di velarlo sempre di più, lasciando il lettore nelle incertezze e nei dubbi. Artefio, che si dichiara disposto finalmente a parlare chiaramente di esso, con il suo fuoco di lampada, con il suo fuoco di braci e così via, invece di chiarire, imbroglia ancor più l'argomento. In mezzo a tanti concetti, in questa matassa aggrovigliata di parole, sono tutti d'accordo nel dire che questo fuoco deve essere naturale, e qua e là indicano al lettore la sua possibile identità, la sua eventuale provenienza e dove meno ne parlano più si mostrano espliciti, per poi di nuovo confondere le idee quando vogliono dilungarsi su di esso. Se vogliamo analizzare la sua identità iniziamo la nostra ricerca dal Lullo. Al Capitolo XL VII del suo Testamentum dice: Sappi, figlio mio, che il solfo e' fuoco, e la magnesia e' la nostra carissima terra e secondariamente la nostra aria, e l'argento vivo e' la nostra acqua viva che corre per tutto il corpo". Con queste parole offre un punto fermo dicendo che la parte più nobile di noi è fuoco e con questo conferma la costruzione egizia del termine aht che significa appunto fuoco, bruciare, o, in altri termini, il Principio Primo che viene mediato, filtrato e quindi il nostro spirito individualizzato, la parte più nobile di noi. E aht in egizio, oltre al fuoco, e' anche lo spirito. Ma questo fuoco non e' ancora il fuoco che si può impiegare nella operatività alchimica, e pertanto prima di proseguire essa deve essere chiarita. Se andiamo a leggere il Capitolo XL VI del Testamentum, il Lullo dice: Poi, figlio, non devi ignorare la potenza di questi due argenti vivi, quando si congiungono fra di loro per dissoluzione, e mentre uno e' attivo , l'altro e' passivo. Quindi, per le operazioni alchimiche, secondo questo passo, occorrono due Mercuri che L'Artista spiega ulteriormente nel contesto del Capitolo un poco più avanti: Figlio, se non conosci le differenze che esistono tra il caldo ed il freddo, tra maschio e femmina, non sai fare la nostra opera. Sappi che nulla può nascere se non dalla femmina e dal maschio, e che non si può generare alcun seme se non dal calore e dall'umidità. Le forze appetitive
La visione Olistica dell'Universo, così come la concepirono gli Antichi Egizi, è la base per la c... more La visione Olistica dell'Universo, così come la concepirono gli Antichi Egizi, è la base per la comprensione dell'Esistente, nel suo aspetto minerale, vegetale ed animale. Il Macrocosmo è in tutto simile, anche dal punto di vista funzionale, al Microcosmo, cioè l'Uomo. La "Tabula Smaragdina" o "Tavola di Smeraldo", recita: "Così è in alto, come è in basso, per fare il miracolo della Cosa Unica". Questo ci porta a riconsiderare quanto Paracelso, il grande Alchimista del cinquecento, disse nella sua Opera il "Paragranum". Egli infatti, in armonia con questa visione, disse come il comportamento del Macrocosmo, da lui chiamato il Cielo, agisca e determini le condizioni di salute o malattia, nel Microcosmo Uomo, attraverso l'azione degli Dei, che gli Egizi chiamarono i Neter. Il cuore per gli Egizi, è il luogo ove il Ka ed il Ba, ovvero il Fisso e Volatile trovano il loro punto di incontro, la sua fisiologia non sarà riferita a canali e mezzi materiali, come le arterie e le vene, ma si farà cenno ad un fisiologia più sottile, ove ciò che contano sono le cause e non gli effetti. Si parlerà quindi, di energie e canali attraverso cui esse scorrono, e più in là ancora, di stati maggiormente sottili ed eterei, i Neter. Questi Dei, questi Neter, abitano nel cosmo così come nel corpo umano. Le Sette Funzionalità, i sette Neter, i sette Arcana come lì chiamava Paracelso, "operano" all'interno del corpo umano, cioè essi si appoggiano per prendere corpo nell'Uomo e farlo vivere, attraverso l'analogia con il Macrocosmo. Ma, chiediamoci, come essi si collegano a quelli del corpo umano, per dare e sostenere la vita. Essi discendono dall'Astrale nel mondo fisico, attraversano gli ammassi stellari e i pianeti, e penetrano nell'Uomo attraverso dei canali energetici, che gli Egizi chiamavano MO. Questo lo possiamo vedere rileggendo parte del Trattato dei Vasi, contenuto nel Papiro Egizio di Ebers. Per comprendere la gerarchia dei Neter, che viene presentata nei vari sistemi e con delle intenzioni particolari, bisogna tenere presente queste due idee: l'idea astratta della creazione primordiale, quella che prende in considerazione i diversi aspetti di Potenze Creatrici e quindi le sue espressioni o Parole successive nel Mondo dei Principi, e l'idea concreta della loro realizzazione attraverso la successione delle procreazioni. Alla prima storia Metafisica, succede e segue la seconda, quella che mostra le Funzioni della Natura nel loro aspetto realizzatore. Le due funzioni basilari sono tra loro contrapposte: quelle che contraggono e quelle che dilatano. Non si può prendere in considerazione una Funzione se non chiamando in causa la sua complementare. Quando un'azione si mette in moto, compare immediatamente la reazione. Se si instaura una forza centrifuga, dilatante, immediatamente compare la forza centripeta contraente. Se Ptah è l'Energia creatrice strettamente legata per mezzo della sua corporificazione, sarà causa di vita ma non potrà vivere se questo Ptah non sarà sciolto, liberato.
ORIGINI DEL NOME DI MILANO E SUO SIGNIFICATO.
Prendiamo come esempio le interessanti prime pagin... more ORIGINI DEL NOME DI MILANO E SUO SIGNIFICATO.
Prendiamo come esempio le interessanti prime pagine dell'Antologia dialettale del prof. Beretta, riguardo appunto l'etimologia del nome. Innanzitutto bisogna dire che la Milano antica comprendeva un territorio che partiva da piazza Duomo, fino ad arrivare a p.zza della Scala, p.zza Cordusio e p.zza Missori. Bonvesin de la Riva nel suo De Magnalibus Mediolani cita un autore sconosciuto che ci descrive la Milano antica chiamata Alba, e già presente prima del VII° sec. a.C. In questo secolo la città aveva come fiumi importanti l'Olona, il Lambro (da cui presero probabilmente il nome gli Insubri lambriani) ed il Seveso. Perché sono così importanti questi fiumi? Proprio per delimitare l'area cittadina che in quell'epoca già esisteva ed aveva una sua importanza. Plutarco ce lo conferma: "I Galli Cisalpini considerano Milano loro capitale". Ora si sappia che il simbolo di Milano è una scrofa semilanuta, che si diceva essere stata bianca. Alba ha il significato di "chiara" "bianca". Scrofa associata alla divinità femminile per eccellenza che è Belisama, identificata successivamente dai romani con Venere. Non a caso gli stessi romani una volta conquistata la città attorno al 222 a.C., trovarono nell'area oggi occupata dal Duomo, un tempio "pagano" dedicato ad Atena, afferma Polibio, ossia presso i Celti a Belisama. In questo tempio vi erano custodite delle insegne auree, definite dai Celti inamovibili. Lo stesso Cesare afferma nel De Bello Gallico che in Gallia era venerata una dea, che lui identifica con Minerva, che "insegna i principi delle arti e dei mestieri". Ovviamente una volta diventata romana, la città aveva assunto come lingua quella latina, che alla fine gli abitanti conoscevano alla perfezione. Nonostante questo i milanesi, però, continuarono ad usare l'antico loro alfabeto che è quello leponzio, fino al primo secolo della nostra era, "…negando la romanità per un'affermazione ideologica di autoidentità politico/culturale e per volontà ideologica di autoidentificazione nazionale". Sul nome di Milano si sono fatte molte altre ipotesi e congetture. Quella che riteniamo più valida e verosimile è la forma Medhelan. Quella "dh" sembra poco milanese, autoctona, ed assomiglia più ad un suono gaelico irlandese: ebbene non è così. Nei vocaboli del milanese antico ne troviamo splendidi esempi leggendo lo scrittore duecentesco Bonvesin de la Riva. Doradha =aurea,d'oro Crudho =persona dai modi burberi Mudha = cambia Ornadha = ornata e così via dicendo. Di esempi eclatanti se ne trovano molti altri. Questo per far capire come questo suono poco latino, abbia invece costituito l'anima della città di Milano e dei milanesi. Medhelan, significa non solo "terra di mezzo" ma anche "santuario di mezzo". Pare infatti che i druidi, sacerdoti degli Insubri, erano soliti recarsi a Medhelan per completare la loro formazione spirituale e magica, a giustificare ancora una volta la grande importanza che rivestiva questa città. Il nome si è poi evoluto in Milàn, noto ormai a tutti. Dicevamo precedentemente che l'area cittadina, che in origine era un villaggio, esisteva già nel VII° sec. a.C. Il che ci riporta inevitabilmente a ipotizzare che la prima pietra fu "posta" in un'epoca ancora più remota. Perché? Perché non solo negli anni settanta fu scoperta una "strana" pietra o menhir, proprio sotto al Duomo, ma anche perché ne furono trovate altre entro l'area centrale. Tra queste ve ne sono alcune lavorate risalenti a ben il 4.500 a.C., trovate nei pressi della chiesa di San Giovanni in Conca, in piazza Missori, lo stesso importante luogo dove fu rinvenuta l'effige della scrofa semilanuta. Come si nota la nascita di Milano e
Le Forze della Manifestazione, l' Universo olistico. Prima lezione
Innanzitutto bisogna dire che la Milano antica celtica comprendeva un territorio che partiva da p... more Innanzitutto bisogna dire che la Milano antica celtica comprendeva un territorio che partiva da piazza Duomo, passando per via Mercanti, piazza Cordusio, via Dante, piazza della Scala, arrivando fino a San Babila, corso Vittorio Emanuele, e piazza Missori, descrivendo una sorta di ellisse. Non troppo distante dalla Scala c'è una piccola via che si chiama "ANDEGARI". Pare che questa via abbia preso il nome da una antica famiglia meneghina, Andegari o Undegari, residenti a Milano. Qualche altro studioso ritiene, al contrario, che il nome Andegari provenga dalla voce celtica "andeghee", che significa "biancospino", pianta cespugliosa che recintava tutta la via, ai tempi dei fondatori della città di Milano: i Celti Insubri. "La via Andegari ricordava il nome del biancospino, pianta sacra; il primo monastero benedettino, costruito sopra il perimetro di questa ellisse, aveva il nome di "San Protaso ad monachos" o "della quercia", che designava una presenza cospicua di querce. Il biancospino (scé, sceach, sciach) poteva formare una siepe di separazione attorno alle terre sacre, ma l'etimologia di Andegari, di Andeghee richiama più il termine "an-dee", a significare "non divino", che designava tutt quello che si trovava all'esterno del nemeton". Tratto da: http://www.storiadimilano.it/Miti_e_leggende/medhelanon.htm Bisogna ora far notare che le due piante sopra citate, il Biancospino e la Quercia, erano sacre al popolo celtico Insubre. Seguendo le fonti storiche sappiamo che fu proprio una siepe di Biancospino, trovato in una radura in mezzo al bosco di Querce nel centro della Pianura Padana, chiamata dalle genti del posto "Insubrio", a condurre gli Insubri di Belloveso verso il luogo sacro ove costruire la città di "Medhelan"-"luogo sacro" appunto. Il Biancospino era associato simbolicamente alla dea Belisama, divinità che possiamo identificare con la Madonnina sopra la cima del Duomo. Cattedrale, questa, che andando indietro coi tempi, sorse sopra la precedente Santa Maria Maggior e le antiche rovine di Santa Tecla: quest'ultima fu costruita sopra le rovine del tempio romano dedicato a Minerva che sorgeva guarda caso a sua volta sulle rovine del tempio dedicato a Belisama. La Quercia, pianta sacra dei Druidi associata al dio Belenos/Beli/Belen, viene raffigurata sopra uno dei portoni della cattedrale (quello di sinistra), con le radici che affondano nella Madre Terra, e che rappresenta la rinascita, il tempio sacro dove gli antichi sacerdoti portavano a termine la loro formazione spirituale. I possenti pilastri all'interno del Duomo dovevano rappresentare un bosco di querce ed anche la Vita eterna. Dobbiamo far notare che già lo storico Polibio aveva asserito che gli Insubri erano soliti costruire i loro villaggi recintati solamente da lance di ferro che chiudevano una fonte sacra od anche un'ampolla sorgiva, anziché da mura. È questo il caso di piazza Diaz, dove si trova VIA RASTRELLI. Questo nome deriva dal vocabolo celtiche "stube" (stufa) e rappresentava una delimitazione per consacrare un luogo alle divinità elementali, che si identificavano così col luogo stesso e ne rinforzavano lo spirito rinvigorendo tutto ciò che lo circondava. Secondo recenti scoperte archeologiche di altri luoghi di Milano, vediamo che i primi templi celtici erano stati costruiti a pianta rotonda, nel mezzo della quale vi era posta una porta circondata da una loggia.
Autorevoli FF LL MM indicano in modo preciso ed inequivocabile che, perché ci si possa considerar... more Autorevoli FF LL MM indicano in modo preciso ed inequivocabile che, perché ci si possa considerare massoni, è tra l'altro indispensabile acquisire una specifica cultura massonica. Niente di più vero ed apparentemente ovvio. Quanti di noi, Fratelli, in tutta obiettività possono affermare di possederla ? Eppure, nei rituali di iniziazione ai tre gradi dell'Ordine, sono contenuti chiarissimi riferimenti ad una cultura che non è profana; i simboli ridondanti che appaiono sia nel Gabinetto di Riflessione che nel Tempio ai vari gradi, sono propri di una cultura di tipo Tradizionale che si perde nella notte dei tempi. Tutto questo è, o dovrebbe essere, stimolo ai Liberi Muratori per studiare, approfondire ed impadronirsi di una messe di nozioni e di una forma mentis tale da appaiarsi a tutti i Fratelli Liberi Muratori che li hanno preceduti nel cammino massonico, per conquistare gradualmente un tipo di conoscenza altrimenti non raggiungibile. Devo concludere che, per quanto riguarda la mia esperienza, non sono molti i Massoni che, con estremo atto di umiltà intellettuale, si rimboccano le maniche e si rimettono a studiare. Richiami in tal senso rimangono, per lo più, inascoltati. Conclusa questa doverosa premessa, della quale chiedo scusa ai Fratelli presenti anche perché anch'io, per un certo periodo, mi sono considerato pago dell'erudizione profana, passo ad esporre il tema di questa tavola: "Astrologia e Massoneria". Nel Tempio che ci ospita, così come in tutti i templi massonici, sono rappresentati sul soffitto i segni dello zodiaco, che fanno da contorno alla volta stellata; esso zodiaco è il percorso apparente dei sole nell'anno e
Spiegazione delle simbologie fra le più semplici, che ci spiegano un'Astrologia "funzionale", com... more Spiegazione delle simbologie fra le più semplici, che ci spiegano un'Astrologia "funzionale", completa
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Cuore Celtico
(a cura di Luigi Fraschini)
Un'antica leggenda tramandata dai Gaidheal, le genti celtiche delle Highlands e delle Isole scozzesi, narra che l'ultimo dei grandi uomini di questo popolo fu Finn Mac Cumhal. Egli, insieme con i guerrieri Fianna, era per il suo popolo un potente baluardo contro ogni male. Quando Finn lasciò questo mondo, l'anima dei Gaidheal, ricolma di tristezza, cadde in un sonno profondo.
Un'altra storia, tuttavia, racconta che Finn è ancora tra le sue genti e riposa, immerso in un sonno magico, nel cuore della sua terra.
Una volta, a un viaggiatore in cerca di un rifugio per la notte capitò di imbattersi nell'antro di una caverna che si addentrava nelle profondità della montagna. Mentre procedeva, l'oscurità e il silenzio si facevano sempre più fitti. Ad un tratto al viandante parve di udire un respiro diverso dal suo. Subito dopo ne ebbe la certezza. Non era solo! Con un filo di voce, domandò: «Chi c'è qui?» Non ebbe risposta. Nondimeno, quel respiro estraneo era sempre lì, accanto a lui.
L'uomo, assai turbato, indietreggiando appoggiò la mano sulla parete di roccia. Sentì sotto le dita del muschio umido, poi un oggetto a forma di corno.
«Che cos'è questo? — si chiese —»
In quel momento nelle tenebre una Voce parlò. Era una Voce ineffabile che sembrava vibrare al di là dello spazio e del tempo. Eppure era come se quel Suono provenisse dal fondo della sua anima.
«Questo è il corno da caccia di Finn!» «Suonalo!» No, il viandante non voleva farlo. La Voce ripeté soavemente: «Suonalo!»
Al terzo richiamo l'uomo sentì un fuoco divampare dentro di sé e con tutto il fiato che aveva suonò il corno. Uno squillo possente pervase la caverna; in esso si distingueva un'esortazione: «Svegliatevi!» Improvvisamente forme evanescenti parvero prendere corpo nell'aria e la Voce ordinò nuovamente: «Suonalo!» Il corno suonò per la seconda volta e nell'oscurità si distinse chiaramente il rumore soffocato di un'armata di guerrieri.
La tenebra allora parlò: «Chi chiama Finn e le Fianna?»
«Io vi chiamo! lo ho bisogno di Voi!» rispose la Voce e nuovamente chiese al viandante di suonare il corno. Egli, tuttavia, era ormai talmente terrorizzato che non riusciva più a comprendere quel richiamo.
Gettato a terra il grande corno delle Fianna, corse a perdifiato nella notte, mentre la Voce lo implorava di suonare ancora una volta. Ma l'uomo continuò a correre, fino a perdere del tutto il sentiero che portava alla caverna.
L'epilogo di questa storia non è ancora stato scritto; il corno di Finn attende di essere ritrovato e suonato per la terza volta. Quando ciò avverrà, lo Spirito dei Gaidheal risorgerà in tutto il suo splendore e tornerà ad essere libero.
Il presente saggio, che nasce nel solco di questo antico auspicio, vuole essere innanzitutto un richiamo appassionato a una Tradizione — quella celtica — che per millenni ha informato di sé buona parte dell'Europa, alimentando e forgiando Io Spirito dei popoli che l'abitavano.
Oggi il mondo celtico, se per un certo aspetto è tornato alla ribalta, anche grazie all'impegno di studiosi seri, ancora troppo spesso viene banalizzato e svalutato oppure fatto oggetto di uno studio prettamente storico-accademico.
L'approccio scelto dall'autrice non è né quello storico né quello "folkloristico", tipico di un gran numero di pubblicazioni dedicate ai celti; l'obiettivo principale di questo libro, infatti, è quello di contribuire a gettare luce sulla spiritualità e sul modo di essere e di rapportarsi al mondo di questi antichi europei.
Il lettore, seguendo il percorso proposto dall'autrice, avrà la possibilità di sollevare il velo sulla Filosofia di Vita di un popolo di raffinata sensibilità, che non si è preoccupato tanto di innalzare grandi templi e grandi costruzioni quanto di vivere in armonia con la Natura, di riuscire a vibrare all'unisono con essa. Ma, soprattutto, potrà constatare che anche presso i celti, come nel resto del mondo antico, il Divino veniva considerato uno nella sostanza, anche se molteplice nelle sue manifestazioni. L'OIW celtico, infatti, rappresenta l'Assoluto, la totalità delle realtà e delle possibilità, allo stesso modo dell'Atum degli egizi, dell'Ain¬Soph dei cabalisti, dell'Uno dei neoplatonici, del Grande Architetto dell'Universo dei massoni e del Dio dei cristiani.
Questo breve saggio, pertanto, vuole essere, per tutti coloro che sentono dentro di sé delle radici celtiche o un sincero interesse verso questa Tradizione, latore di un messaggio che giunga, prima che alla mente, al Cuore.
Prendiamo come esempio le interessanti prime pagine dell'Antologia dialettale del prof. Beretta, riguardo appunto l'etimologia del nome. Innanzitutto bisogna dire che la Milano antica comprendeva un territorio che partiva da piazza Duomo, fino ad arrivare a p.zza della Scala, p.zza Cordusio e p.zza Missori. Bonvesin de la Riva nel suo De Magnalibus Mediolani cita un autore sconosciuto che ci descrive la Milano antica chiamata Alba, e già presente prima del VII° sec. a.C. In questo secolo la città aveva come fiumi importanti l'Olona, il Lambro (da cui presero probabilmente il nome gli Insubri lambriani) ed il Seveso. Perché sono così importanti questi fiumi? Proprio per delimitare l'area cittadina che in quell'epoca già esisteva ed aveva una sua importanza. Plutarco ce lo conferma: "I Galli Cisalpini considerano Milano loro capitale". Ora si sappia che il simbolo di Milano è una scrofa semilanuta, che si diceva essere stata bianca. Alba ha il significato di "chiara" "bianca". Scrofa associata alla divinità femminile per eccellenza che è Belisama, identificata successivamente dai romani con Venere. Non a caso gli stessi romani una volta conquistata la città attorno al 222 a.C., trovarono nell'area oggi occupata dal Duomo, un tempio "pagano" dedicato ad Atena, afferma Polibio, ossia presso i Celti a Belisama. In questo tempio vi erano custodite delle insegne auree, definite dai Celti inamovibili. Lo stesso Cesare afferma nel De Bello Gallico che in Gallia era venerata una dea, che lui identifica con Minerva, che "insegna i principi delle arti e dei mestieri". Ovviamente una volta diventata romana, la città aveva assunto come lingua quella latina, che alla fine gli abitanti conoscevano alla perfezione. Nonostante questo i milanesi, però, continuarono ad usare l'antico loro alfabeto che è quello leponzio, fino al primo secolo della nostra era, "…negando la romanità per un'affermazione ideologica di autoidentità politico/culturale e per volontà ideologica di autoidentificazione nazionale". Sul nome di Milano si sono fatte molte altre ipotesi e congetture. Quella che riteniamo più valida e verosimile è la forma Medhelan. Quella "dh" sembra poco milanese, autoctona, ed assomiglia più ad un suono gaelico irlandese: ebbene non è così. Nei vocaboli del milanese antico ne troviamo splendidi esempi leggendo lo scrittore duecentesco Bonvesin de la Riva. Doradha =aurea,d'oro Crudho =persona dai modi burberi Mudha = cambia Ornadha = ornata e così via dicendo. Di esempi eclatanti se ne trovano molti altri. Questo per far capire come questo suono poco latino, abbia invece costituito l'anima della città di Milano e dei milanesi. Medhelan, significa non solo "terra di mezzo" ma anche "santuario di mezzo". Pare infatti che i druidi, sacerdoti degli Insubri, erano soliti recarsi a Medhelan per completare la loro formazione spirituale e magica, a giustificare ancora una volta la grande importanza che rivestiva questa città. Il nome si è poi evoluto in Milàn, noto ormai a tutti. Dicevamo precedentemente che l'area cittadina, che in origine era un villaggio, esisteva già nel VII° sec. a.C. Il che ci riporta inevitabilmente a ipotizzare che la prima pietra fu "posta" in un'epoca ancora più remota. Perché? Perché non solo negli anni settanta fu scoperta una "strana" pietra o menhir, proprio sotto al Duomo, ma anche perché ne furono trovate altre entro l'area centrale. Tra queste ve ne sono alcune lavorate risalenti a ben il 4.500 a.C., trovate nei pressi della chiesa di San Giovanni in Conca, in piazza Missori, lo stesso importante luogo dove fu rinvenuta l'effige della scrofa semilanuta. Come si nota la nascita di Milano e
Cuore Celtico
(a cura di Luigi Fraschini)
Un'antica leggenda tramandata dai Gaidheal, le genti celtiche delle Highlands e delle Isole scozzesi, narra che l'ultimo dei grandi uomini di questo popolo fu Finn Mac Cumhal. Egli, insieme con i guerrieri Fianna, era per il suo popolo un potente baluardo contro ogni male. Quando Finn lasciò questo mondo, l'anima dei Gaidheal, ricolma di tristezza, cadde in un sonno profondo.
Un'altra storia, tuttavia, racconta che Finn è ancora tra le sue genti e riposa, immerso in un sonno magico, nel cuore della sua terra.
Una volta, a un viaggiatore in cerca di un rifugio per la notte capitò di imbattersi nell'antro di una caverna che si addentrava nelle profondità della montagna. Mentre procedeva, l'oscurità e il silenzio si facevano sempre più fitti. Ad un tratto al viandante parve di udire un respiro diverso dal suo. Subito dopo ne ebbe la certezza. Non era solo! Con un filo di voce, domandò: «Chi c'è qui?» Non ebbe risposta. Nondimeno, quel respiro estraneo era sempre lì, accanto a lui.
L'uomo, assai turbato, indietreggiando appoggiò la mano sulla parete di roccia. Sentì sotto le dita del muschio umido, poi un oggetto a forma di corno.
«Che cos'è questo? — si chiese —»
In quel momento nelle tenebre una Voce parlò. Era una Voce ineffabile che sembrava vibrare al di là dello spazio e del tempo. Eppure era come se quel Suono provenisse dal fondo della sua anima.
«Questo è il corno da caccia di Finn!» «Suonalo!» No, il viandante non voleva farlo. La Voce ripeté soavemente: «Suonalo!»
Al terzo richiamo l'uomo sentì un fuoco divampare dentro di sé e con tutto il fiato che aveva suonò il corno. Uno squillo possente pervase la caverna; in esso si distingueva un'esortazione: «Svegliatevi!» Improvvisamente forme evanescenti parvero prendere corpo nell'aria e la Voce ordinò nuovamente: «Suonalo!» Il corno suonò per la seconda volta e nell'oscurità si distinse chiaramente il rumore soffocato di un'armata di guerrieri.
La tenebra allora parlò: «Chi chiama Finn e le Fianna?»
«Io vi chiamo! lo ho bisogno di Voi!» rispose la Voce e nuovamente chiese al viandante di suonare il corno. Egli, tuttavia, era ormai talmente terrorizzato che non riusciva più a comprendere quel richiamo.
Gettato a terra il grande corno delle Fianna, corse a perdifiato nella notte, mentre la Voce lo implorava di suonare ancora una volta. Ma l'uomo continuò a correre, fino a perdere del tutto il sentiero che portava alla caverna.
L'epilogo di questa storia non è ancora stato scritto; il corno di Finn attende di essere ritrovato e suonato per la terza volta. Quando ciò avverrà, lo Spirito dei Gaidheal risorgerà in tutto il suo splendore e tornerà ad essere libero.
Il presente saggio, che nasce nel solco di questo antico auspicio, vuole essere innanzitutto un richiamo appassionato a una Tradizione — quella celtica — che per millenni ha informato di sé buona parte dell'Europa, alimentando e forgiando Io Spirito dei popoli che l'abitavano.
Oggi il mondo celtico, se per un certo aspetto è tornato alla ribalta, anche grazie all'impegno di studiosi seri, ancora troppo spesso viene banalizzato e svalutato oppure fatto oggetto di uno studio prettamente storico-accademico.
L'approccio scelto dall'autrice non è né quello storico né quello "folkloristico", tipico di un gran numero di pubblicazioni dedicate ai celti; l'obiettivo principale di questo libro, infatti, è quello di contribuire a gettare luce sulla spiritualità e sul modo di essere e di rapportarsi al mondo di questi antichi europei.
Il lettore, seguendo il percorso proposto dall'autrice, avrà la possibilità di sollevare il velo sulla Filosofia di Vita di un popolo di raffinata sensibilità, che non si è preoccupato tanto di innalzare grandi templi e grandi costruzioni quanto di vivere in armonia con la Natura, di riuscire a vibrare all'unisono con essa. Ma, soprattutto, potrà constatare che anche presso i celti, come nel resto del mondo antico, il Divino veniva considerato uno nella sostanza, anche se molteplice nelle sue manifestazioni. L'OIW celtico, infatti, rappresenta l'Assoluto, la totalità delle realtà e delle possibilità, allo stesso modo dell'Atum degli egizi, dell'Ain¬Soph dei cabalisti, dell'Uno dei neoplatonici, del Grande Architetto dell'Universo dei massoni e del Dio dei cristiani.
Questo breve saggio, pertanto, vuole essere, per tutti coloro che sentono dentro di sé delle radici celtiche o un sincero interesse verso questa Tradizione, latore di un messaggio che giunga, prima che alla mente, al Cuore.
Prendiamo come esempio le interessanti prime pagine dell'Antologia dialettale del prof. Beretta, riguardo appunto l'etimologia del nome. Innanzitutto bisogna dire che la Milano antica comprendeva un territorio che partiva da piazza Duomo, fino ad arrivare a p.zza della Scala, p.zza Cordusio e p.zza Missori. Bonvesin de la Riva nel suo De Magnalibus Mediolani cita un autore sconosciuto che ci descrive la Milano antica chiamata Alba, e già presente prima del VII° sec. a.C. In questo secolo la città aveva come fiumi importanti l'Olona, il Lambro (da cui presero probabilmente il nome gli Insubri lambriani) ed il Seveso. Perché sono così importanti questi fiumi? Proprio per delimitare l'area cittadina che in quell'epoca già esisteva ed aveva una sua importanza. Plutarco ce lo conferma: "I Galli Cisalpini considerano Milano loro capitale". Ora si sappia che il simbolo di Milano è una scrofa semilanuta, che si diceva essere stata bianca. Alba ha il significato di "chiara" "bianca". Scrofa associata alla divinità femminile per eccellenza che è Belisama, identificata successivamente dai romani con Venere. Non a caso gli stessi romani una volta conquistata la città attorno al 222 a.C., trovarono nell'area oggi occupata dal Duomo, un tempio "pagano" dedicato ad Atena, afferma Polibio, ossia presso i Celti a Belisama. In questo tempio vi erano custodite delle insegne auree, definite dai Celti inamovibili. Lo stesso Cesare afferma nel De Bello Gallico che in Gallia era venerata una dea, che lui identifica con Minerva, che "insegna i principi delle arti e dei mestieri". Ovviamente una volta diventata romana, la città aveva assunto come lingua quella latina, che alla fine gli abitanti conoscevano alla perfezione. Nonostante questo i milanesi, però, continuarono ad usare l'antico loro alfabeto che è quello leponzio, fino al primo secolo della nostra era, "…negando la romanità per un'affermazione ideologica di autoidentità politico/culturale e per volontà ideologica di autoidentificazione nazionale". Sul nome di Milano si sono fatte molte altre ipotesi e congetture. Quella che riteniamo più valida e verosimile è la forma Medhelan. Quella "dh" sembra poco milanese, autoctona, ed assomiglia più ad un suono gaelico irlandese: ebbene non è così. Nei vocaboli del milanese antico ne troviamo splendidi esempi leggendo lo scrittore duecentesco Bonvesin de la Riva. Doradha =aurea,d'oro Crudho =persona dai modi burberi Mudha = cambia Ornadha = ornata e così via dicendo. Di esempi eclatanti se ne trovano molti altri. Questo per far capire come questo suono poco latino, abbia invece costituito l'anima della città di Milano e dei milanesi. Medhelan, significa non solo "terra di mezzo" ma anche "santuario di mezzo". Pare infatti che i druidi, sacerdoti degli Insubri, erano soliti recarsi a Medhelan per completare la loro formazione spirituale e magica, a giustificare ancora una volta la grande importanza che rivestiva questa città. Il nome si è poi evoluto in Milàn, noto ormai a tutti. Dicevamo precedentemente che l'area cittadina, che in origine era un villaggio, esisteva già nel VII° sec. a.C. Il che ci riporta inevitabilmente a ipotizzare che la prima pietra fu "posta" in un'epoca ancora più remota. Perché? Perché non solo negli anni settanta fu scoperta una "strana" pietra o menhir, proprio sotto al Duomo, ma anche perché ne furono trovate altre entro l'area centrale. Tra queste ve ne sono alcune lavorate risalenti a ben il 4.500 a.C., trovate nei pressi della chiesa di San Giovanni in Conca, in piazza Missori, lo stesso importante luogo dove fu rinvenuta l'effige della scrofa semilanuta. Come si nota la nascita di Milano e
La forma poetica non è nuova all'Alchimia: basti citare, per tutti, Cecco d'Ascoli, ma la fortuna del Crassellame, nel corso dei tempi, è forse proprio da attribuirsi alla volontà, seppure sempre di "maniera", di descrivere il mondo macrocosmico quale evidente correlato di quello microcosmico. L'Opus diventa, quindi, precedente conoscenza della legge che conosce Tenebre e Luce e che può, tramite splendide metafore, riprodurre il positivo intendimento della Creazione proponendo alla coscienza il "vissuto" della materia. Il mistero della trasmutazione alchemica comincia così a diventare quell'Aufklaerung che percorre già da prima, ma soprattutto dopo l'epoca di Crassellame, l'Europa, come con geniale dettato ricorda la Yates nella sua opera sui Rosacroce.
Se quindi l'ode conserva questi suoi pregi, la traduzione del commento, che si è voluta tenere nella stessa dimensione di "sciatteria" dell'originale latino secentesco, può risultare una scoperta per molti lettori che si son dovuti sino a questo momento limitare alla lettura dell'ode coadiuvati dai "commenti moderni" di Wirth o del Bornia, tanto per citare alcuni esegeti. Il volume, che è stato curato da Stefano Andreani, si avvale di una prefazione storica di Mino Gabriele e di una breve post-fazione del curatore che analizza alcuni rapporti tra Opera Alchemica e "Poesia".
Siamo così giunti all’Equinozio di Primavera: è tempo di fare pulizia, di arieggiare sia le case che i pensieri perche' la bella stagione e' arrivata. L'energia della natura sta crescendo ed e' il periodo ideale per seminare sia nuovi progetti che il giardino con le erbe officinali. Anticamente si accendevano dei fuochi, bruciando le sterpaglie del giardino, una volta compiuti i “rituali” di pulizia: le nostre nonne utilizzavano scope di saggina, che in Brianza anticamente era conosciuta col nome di “brugh”, stesso nome dell’Erica, per ripulire l’entrata di casa, ma anche per “scacciare” i malanni, e far posto ad un nuovo ciclo vitale.
La celebrazione della Pasqua dipendeva dalla luna, l’astro profondamente legato alla simbologia della terra, attraverso le stagioni, maree e i cicli mensili. La festa veniva fissata nella prima domenica dopo il plenilunio successivo al primo giorno dell’Equinozio di primavera.,
È la festa primaverile per eccellenza, celebrazione del rinnovamento e della rinascita. Le usanze rimaste nella Pasqua cristiana provengono da culti arcaici.
Nei culti celtici il Figlio della Grande Madre, Belenos, muore e risorge a Primavera. È la vita dei campi che insegna. Il periodico morire e rinascere dei frutti, la fecondità che si rinnova sono simboli dell’Uomo che muore e rinasce e si trasforma. Esperienza interiore che ciascuno di noi vive dentro di sé come Uomo naturale. Legato alla Pasqua vi è un altro simbolo celtico che è quello dell’Uovo, che rappresenta le origini del mondo e germe di vita.
Nella religione cristiana la Pasqua rappresenta il momento della Resurrezioni di Cristo, salvatore dell’Umanità. È il momento principe della vittoria della Luce sulle Tenebre: simbologia principe che ci riconduce ad antiche usanze di derivazione celtica. Al di là del nome usato nelle varie realtà, cerchiamo di analizzare le simbologie che la Pasqua racchiude per arrivare a capire quanto dobbiamo ai nostri antichi Padri.
Simbologia esoterica: uovo e coniglio
L’Uovo rappresenta simbolicamente l’Uroboros, ossia il Serpente primordiale che viene solitamente rappresentato mentre si morde la coda, creando la figura geometrica a forma appunto di “uovo”. Ma l’Uovo rappresenta oltre che gli inizi, anche il simbolo stesso della Vita. Il bambino e il cucciolo nascono e si sviluppano da un uovo prima di nascere. L’usanza di scambiarsi le uova di cioccolato alla mattina di Pasqua e mandare i bambini in giardino a cercare le uova colorate che il coniglio pasquale aveva nascosto, ricordano tempi arcaici. In Germania, ad esempio, la tradizione vuole che i bambini, la mattina della domenica di Pasqua, chiamata “Ostern”, vadano alla ricerca nei giardini delle case delle uova nascoste dal “coniglio pasquale”. In Inghilterra si fan rotolare sulla strada uova sode colorate fino a quando il guscio non sia completamente rotto. Questa tradizione è fortemente legata al culto della dea precedentemente descritta, infatti nelle tradizioni celtiche si celebrava il ritorno della dea andando a scambiarsi uova “sacre” sotto l’albero ritenuto “magico” del villaggio, usanza che dunque collega la Pasqua alle divinità arboree della fertilità. Simbolo della dea è la lepre o il coniglio che in realtà rappresenta la stessa divinità che si rende immanente e concepisce se stessa come divinità dei boschi. Una delle credenze antiche era, poi, quella che, cibandosi dell’animale simbolo della divinità o meglio espressione stessa della divinità, non si faceva altro che rendersi partecipe di quella scintilla di divino che è insita nella sua immanenza. Anche l’uovo non è scelto a caso ma è da sempre simbolo di rinascita. Per gli antichi la Primavera portava gli uccelli a deporre le proprie uova e dunque ad avere un nuovo sostentamento dopo la rigidità dell’inverno. L’uovo diventa così potente talismano di fertilità e vita come testimoniato dalle usanze delle uova sacre ove il cibarsi di questo alimento celebrerebbe la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni dell’abbondanza. L’idea del “sacro” uovo si è così tramutata nel tempo, basti pensare all’uovo alchemico di Ermete Trismegisto o agli antichi romani per i quali “omne vivum ex ovo”. Il cibarsi delle uova, così, diventa un rituale collettivo di partecipazione alla nuova vita e dunque alla resurrezione.
Come possiamo notare dunque la Pasqua è una festa che richiama antichissime usanze e che si collega ai rituali naturali e alla sacralità degli alberi. Una interessante tradizione è quella usanza di realizzare giardini fioriti durante questo periodo per far sì che la natura sia incoraggiata per la crescita delle piante, ciascuna legate ad una “divinità” particolare: “divinità” che molto spesso risiedono, si manifestano nei ruscelli, nelle rocce, nei boschi, sulle cime innevate delle montagne. Una magia “imitativa” che riproduce il principio del “simile che cura il simile”. Si schiude come di incanto la spiegazione di un rituale che affonda le sue radici nelle tradizioni pre-romane: i “sepolcri”, preparati il Venerdì Santo per il Cristo con piante, spighe e fiori, veri “giardini” realizzati sulla tomba del Dio morto creando un legame ancora più stretto tra festività e rituali arborei.
La Reminiscenza dello spirito arboreo
Come possiamo notare dunque la Pasqua è una festa dalle origini antichissime e che si collega ai rituali naturali e alla sacralità degli alberi, essa altro non sarebbe che un’altra forma di venerazione, di quel principio basato sulla morte e rinascita dello spirito della vegetazione rappresentato spesso nell’uccisione e nella risurrezione della Dea o successivamente dell’Uomo Selvatico, “Omm Selvadegh”. Una interessante tradizione è quella usanza di realizzare giardini fioriti durante questo periodo per far sì che la Natura sia incoraggiata per la crescita delle piante, ciascuna legate ad una divinità particolare: divinità che molto spesso risiedono, si manifestano nei ruscelli, nelle rocce, nei boschi, sulle cime innevate delle montagne. Una Magia “imitativa” che riproduce il principio del “simile che cura il simile”. Si schiude come di incanto la spiegazione di un rituale creduto cristiano ma che affonda le sue radici nelle tradizioni pre-romane: i “sepolcri”, realizzati il Venerdì Santo per il Cristo con piante, spighe e fiori, veri “giardini” realizzati sulla tomba del dio morto creando un legame ancora più stretto tra festività e rituali arborei. Anche la simbologia dell’agnello o meglio del “capretto” sarebbe strettamente legata al culto arboreo nello stesso significato della lepre per la dea Belisama.
La capra infatti, errando nei boschi, rosicchia le cortecce degli alberi danneggiandoli notevolmente, così solo il dio della vegetazione si nutre della pianta da esso personificata, e dunque lo stesso animale non può che essere sacro. Come nel caso delle uova, l’Uomo antico, mangiando la carne dell’animale ne acquisisce e assorbe tutte le peculiarità.
La Festa del Fuoco
Strettamente connesso con i rituali legati alla vegetazione e alla rinascita è la tradizione pasquale di accendere i falò. I cosi detti fuochi di gioia da cui poi deriverebbe la tradizione del cero pasquale. In Germania ad esempio i contadini raccolgono tutti i rami secchi che trovano nelle loro campagne per poi farne un enorme rogo e spargere le ceneri nei campi per propiziare il raccolto, mentre tizzoni accesi vengono portati all’interno delle case come protezione dagli spiriti maligni. Tali rituali li troviamo anche in molte altre parti d’Europa e nelle nostre stesse terre. Si tratta di un rito purificatorio, in sintonia con quello che poi sarebbe il significato della Pasqua cristiana. In realtà la tradizione ben si sposa con il concetto di magia imitativa degli antichi, infatti la festa legata all’equinozio di primavera è strettamente legata alla rinascita del Sole dopo la sua morte, il buio e la luce si equivalgono per poi far prendere il sopravvento di quest’ultima. I rituali non erano altro che un modo per trasporre in terra il calore del Sole, trasmutare. Viva ancora oggi in molti paesi nordici è l’usanza di far ruzzolare ruote infuocate giù per una collina o il correre nei campi con le fiaccole accese, come a voler imitare il percorso che il Sole compie durante l’anno. In questa tradizione si inserisce il cero pasquale, il fuoco sacro della religione cristiana che anche in questo caso attinge alla Tradizione dei rituali pagani. Nelle chiese si spengono le luci, proprio a rappresentare il dominio assoluto del buio, visto solo successivamente come male, poi trionfa la luce, simboleggiata dal cero dal quale si accendono le varie candele, che si portano a casa come i pagani portavano i loro tizzoni accesi: un mistico intreccio di culture e credenze che si fondono in antichi rituali e simbologie che si perdono nella notte dei tempi.
(Fonti: “La Dea Madre” – Robert Graves. “Simbolo e Simbolica” R.A. Schwaller de Lubicz - “Il Verbo e il Simbolo” – R. Guènon - “Le divinità solari dell’antica Europa dal 2000 A.C. al 400 A.C.” - Miranda Green - “Mysteres Celtes – une religion de l’insaisissable” - John Sharkey )
Nell’antica Europa, quando la cultura Celtica era ancora agli splendori, il concetto di Vita era un processo continuo di interscambio fra mondo profano e mondo religioso; questo è significativo, perché ci fa capire come tutto fosse armonioso, e di come l’Uomo si rapportasse alla Natura, nella sua completezza. Non in modo sentimentale, come avviene oggi, ma con grande rispetto e dedizione. Un’indagine approfondita, quindi, non può scindere i due aspetti di una tradizione così antica.
Spesso, si sente parlare di Draghi, questi animali misteriosi che un po’ ci incutono timore, ma nessuno ne comprende il vero significato: anch’essi fanno parte del nostro mondo (interiore).
Si racconta che in origine i Druidi, appresero la loro arte magica nelle Isole a Settentrione del Mondo. Queste isole erano situate nell’Altromondo, oltre le Acque. Qui “E non c’è né terra, né acqua, né aria allo stato puro, ma una specie di miscuglio dei tre elementi, dove terra, acqua e aria sono mescolati come fossero tutti riuniti. L’Altro mondo non è misurabile, è un eterno presente e un mondo di illusioni”. Il dio che governa queste terre è Crono (signore del Tempo); questo dio è assopito, poiché queste terre sono senza tempo. Il quinto elemento, il fuoco, non è presente, e quindi “nulla può essere plasmato”. Tutto rimane inerte, in uno stato chiamato “del sogno eterno”.
L’Irlanda, la Gran Bretagna, la Scandinavia, sono il riflesso terreno di queste terre. I Tuatha Dé Danann, popolo dell’età del bronzo, andarono nella regione Iperborea, ad imparare la magia, le scienze, il druidismo, la saggezza e l’arte, nelle quattro città principali: FALIAS, GORIAS, MURIAS, FINDIAS, ove risiedevano i quattro Druidi guardiani: MORFESA, ESRAS, UISCIAS, SEMIAS, trasmettitori di scienza e conoscenza. Al loro ritorno portarono quattro oggetti sacri: Da FALIAS la pietra di Fail (Lia Fail) (Terra), da GORIAS la lancia di Lugh (Aria), da MURIAS la spada di Nuada (Fuoco), e da FINDIAS il calderone di Dagda (Acqua). La parte finale “AS” significa “ESTERNO”, “AL DI FUORI”, e significa essere nel mondo senza tempo. È significativo che per giungere in queste terre, si debbano attraversare acque tempestose; queste, infatti, rappresentano l’interiorizzazione delle nostre emozioni (la Luna), e attraversarle significa andare incontro all’oblio; qui ci si deve scontrare con il “Guardiano della Soglia”, un drago minaccioso che punisce coloro che non sono ancora in grado di intraprendere questa via.
Poiché precedono la forma, le acque rappresentano la Vita nel significato più alto del termine. Si può rimanere prigionieri della corrente che trascina dove vuole. L’acqua è quell’impulso che ci porta verso il basso, in uno stato passivo, e per vincerla si deve anteporre la parte attiva del nostro fuoco che indirizza la sua Volontà (quindi la propria Individualità), verso la Forza interiore.
I druidi officiavano presso i nemeton (santuario, tempio) ossia le foreste, e all’inizio di ogni rituale proferivano queste parole: “Nemora alta remotis incolitis lucis” Abitate santuari profondi, in foreste remote.
I luoghi prescelti erano centri particolarmente carichi di forza magnetica, uniti da una linea immaginaria (ma non tanto): gli omphalos. Mediolanum (Milano), che significa “centro di perfezione”, era collegata, ad esempio, a New Grange (Irlanda), Carnac (Francia), Stonehenge (Inghilterra) e a Delfi (Grecia). I draghi della tradizione celtica rappresentano i guardiani delle nostre potenzialità, e di quello che abbiamo “ereditato” da lontano. Questi ci permettono di avere una chiave in più per conoscere noi stessi. Sono lo specchio del nostro Cosmo interiore e rappresentano i “guardiani dei Templi”:
Il DRAGO DI TERRA, rappresenta: il Subconscio, Lia Fail, l’Ovest, il Nero, Fomhar, l’Autunno, Pioppo Bianco, l’Equinozio d’autunno.
È il custode dei tesori nascosti nei tumuli sepolcrali, ed è ancora assopito, perché aspetta il risveglio della fine dei tempi. Rappresenta la coscienza che si sta risvegliando e il viaggio dell’anima tra una trasmigrazione e l’altra.
Il DRAGO D’ACQUA, rappresenta: l’Inconscio, il Calderone del Dagda, il Nord, il Blu, Geimhereach: l’Inverno, Abete Bianco, il Solstizio d’Inverno.
È alla soglia dell’Altromondo, e ci guida verso il Mondo Sotterraneo. L’Inconscio che vede il sorgere della consapevolezza dei desideri irrisolti. Le potenzialità della psiche umana vengono sorvegliate dal drago, per impedirci di usarle in modo inappropriato. Simboleggia anche la trasmutazione e la profondità di sentimento.
Il DRAGO DI FUOCO, rappresenta: l’Io, la Coscienza del Sé, la Spada di Nuada, il Sud, il Rosso, Samhradh: l’Estate, l’Erica, il Solstizio d’Estate.
È il Fuoco Interiore, NWYRE (Kundalini), che circola nei centri psichici del corpo umano (Chakra). È colui che ci risveglia al nuovo Cammino palingenetico. I poteri interiori sono pericolosi, pertanto questo drago ci appare minaccioso per metterci in guardia; dobbiamo risalire i gradini della piramide senza affrettare il passo.
Il DRAGO D’ARIA, rappresenta: la Super coscienza, la Lancia di Lugh, l’Est, il Verde, Earrach: la Primavera, la Ginestra, l’Equinozio di Primavera.
Risveglia i livelli più alti della Coscienza e viene associato al Fulmine e al Tuono. Chi è alla ricerca dell’Illuminazione, riesce a trovarla, ma ad un livello superiore. L’Ispirazione è magica, perché ci mette a diretto contatto con l’Astrale. È il drago che ci può apparire anche nei sogni.
I quattro draghi rappresentano le quattro Opere alchemiche della Nigredo, Viriditas, Albedo e Rubedo, egregiamente spiegate dal Gentili nel suo libro “La Luce di Kemi, le Fonti dell’Alchimia”, edito da Kemi Hator (Milano, ristampa del 1992). Questi Draghi sono a guardia dei loro tesori, e riuscire a vincerli, significa compiere la propria trasmutazione, la via palingenetica che porta all’equilibrio interiore. Compiere questo cammino è pericoloso, se non si è più che preparati.
Vi sono 3 stadi principali (secondo gli antichi sacerdoti), che l’individuo deve superare durante il proprio cammino palingenetico:
Fase di regressione o morte iniziatica, durante la quale ci si spoglia di tutti gli stereotipi della vita moderna, per apprendere le arti druidiche.
Fase di rinascita, durante la quale ci si appropria delle conoscenze degli Avi.
I Totem ci guidano alla contemplazione della Natura.
Fase della rivelazione, durante la quale si completa la formazione iniziatica per procedere lungo il cammino palingenetico.
I Draghi ci aiutano ad attraversarli, a patto che siano gli Uomini a volerlo, a porre la propria Volontà (superiore) al servizio del divino che risiede in ogni dove.
I quattro animali primordiali, a differenza dei draghi, rappresentano le ere terrestri e l’involuzione dell’Essere Umano, verso la materia. Anche se molti sono convinti del fatto che discendiamo dalla scimmia, la mitologia e le tradizioni di tutti i popoli della Terra, confermano il fatto che l’Uomo Primordiale, era in origine un dio, e che a seguito della sua discesa in terra, ha subito delle metamorfosi. Tutti parlano di sfere di pura energia, e le scimmie sono soltanto il tentativo, grossolano, di materializzazione di queste forze.
Nel ciclo mitologico d’Irlanda, presente nel “Lebor Gabala Eirenn”, si fa menzione di quattro stirpi di dei e semidei, che furono i fautori di queste ere. L’Uomo, in queste fasi, subisce delle “trasformazioni” simboleggiate dai Totem, da quelle forze rese manifeste e disposte al suo servizio.
Nello stesso anno seguì la pubblicazione del secondo volume. Poi tutto si fermò.
L'autore, nel chiudere il capitolo VIII, dedicato al compendio del 2° libro, così concludeva:
«... Il Terzo Libro rappresenta senz'altro un classico del¬l'evocazione eonica, in cui l'Abate, non solo fa riferimento ai moti naturali dei pianeti, ma vi aggiunge anche i cicli, che si informano ai postulati dell'Aritmologia, come mostra chiara¬ mente la "Tavola dei moti dei pianeti" nella quale vige il rapporto armonico del settenario tra il maggiore, Saturno, ed il minore, la Luna".
Questa astrologia fa da base indispensabile alle tre branche della scienza Alchemica, che è quella Egizia tout court, e cioè:
l'Alchimia Verde, o Spagiria
l'Alchimia Mettallurgica
l'Alchimia Spirituale
L'operatività alchimica si basa sul confezionamento della Pietra di questa Occulta Lapis che tale rimane non solo in sé e per sé ma anche, e sopratutto, per ciò che riguarda la sua identità. La sua descrizione, secondo quanto ci dicono gli alchimisti, si basa su concetti contradditori, criptografici: viene chiamata Pietra ma pietra non è, si dice che sia fusibile ma non è attaccabile dal fuoco, e così via con una serie di affermazioni astruse che poco giovano per una sua identificazione. ll Lullo, nel suo Testamento al Capitolo VIII dice: Questo Spirito lo chiamiamo nel nostro Testamento Spirito petroso e lapideo, e già con questa affermazione mostra più chiarezza rispetto agli altri alchimisti nell'indirizzare il lettore verso la sua identificazione. Sappiamo per lo meno che e' uno spirito o qualcosa di simile. Nel "Compendio Animae o Transmutationis Artis Metallorum" si mostra ancor più esplicito dicendo: Sappi che la materia della nostra Pietra e di tutte le Pietre dei Filosofi e dei virtuosi, che vengono generate e composte mediante artifici, è un'anima metallica. Con le parole del Lullo possiamo già avere una ulteriore delucidazione, seppur vaga, ma piuttosto illuminante: la Pietra appartiene alla categoria dell'anima, o in termini ermetici, fa parte della sostanza del nostro corpo lunare. Inoltre essa è metallica, è composta dalle Funzioni che reggono il nostro corpo, o dal riassunto del loro lavoro, e infatti poco più avanti prosegue dicendo: che lo spirito dei metalli è l'altra parte e materia della nostra Pietra, che occorre che tu estragga dai corpi di tutti i metalli. Sempre nel Compendio Animae indica gli strumenti occorrenti per fare la Pietra: Ora diciamo gli strumenti con i quali si compone la Pietra: Vi sono due vasi, dello sterco e cose da farsi con molta diligenza e con artifici... ll Villano va, invece, si dilunga più sulla operatività che sulla operatività che sull'essenza della Pietra, ed accenna nel suo Thesaurus Thesaurorum, al Capitolo VIII alla sua identificazione dicendo: Così la Pietra si risolve in argento vivo tramite il nostro magistero. Il modo di convertire il nostro argento vivo e' la conversione della natura nella sua prima radice. Da questi due alchimisti, meno criptografici degli altri, sappiamo che la Pietra partecipa delle qualità dell'anima, o dello spirito, e' della natura delle Funzioni e si prepara tramite le purificazioni mercuriali, con i debiti strumenti e le dovute operatività. Vediamo ora se e' possibile trasporre in termini più moderni, più consci al